Concerto a quattro mani esegue:

Daniele Adornetto - pianoforte
Stefano Giardino - pianoforte


PROGRAMMA CONCERTO

Johannes Brahms
Sedici Walzer per pianoforte a quattro mani, op. 39
1.    Tempo giusto (Si maggiore)
2.    (Mi maggiore)
3.    (Do diesis minore)
4.    Poco sostenuto (mi minore)
5.    (Mi maggiore)
6.    Vivace (do diesis maggiore)
7.    Poco più Andante (do diesis minore)
8.    (Si bemolle maggiore)
9.    (Re minore)
10.    (Sol maggiore)
11.    (Si minore)
12.    (Mi maggiore)
13.    (Do maggiore)
14.    (La minore)
15.    (La maggiore)
16.    (Re minore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1865
Prima esecuzione: Vienna, Grole Musikvereinsaal, 17 marzo 1867
Edizione: Rieter-Biedermann, Lipsia e Winterthur, 1867
Dedica: Eduard Hanslick

Brahms ne ha poi fatto una versione facilitata per pianoforte a due mani edita nel 1867 da Rieter-Biedermann, Lipsia e Winterthur

L'amore di Brahms per i movimenti di danza è legato al fatto che tali tipologie ritmiche si accordano bene alla natura della creatività melodica del compositore, spesso animata da movenze "popolari" che mirano a cogliere l'anima del popolo cui appartengono. Non a caso questi sedici valzer recuperano le atmosfere del Ländler (danza popolare tedesca simile al valzer) più che dell'astratto valzer viennese. Sono molto semplici nella forma: non hanno introduzione lenta né trio e mancano di coda. Sono tutti in forma ABA, dove la terza sezione spesso è affine alla prima. Vi si trovano pagine brillanti o malinconiche, di sapore zigano o contrappuntistico. Non sfuggono all'orecchio echi provenienti da Schubert, da Schumann (op. 109 e op. 130), ma anche da Chopin, per una certa astrazione addolorata del canto. I sedici valzer risalgono al 1865, e sono dedicati al noto teorico di estetica musicale Eduard Hanslick, profondo estimatore di Brahms.

Claude Debussy

En blanc et noir
Tre capricci per due pianoforti, L 142

1.    Avec emportement (do maggiore)
Dedica: A. Koussevitzky
2.    Lent. Sombre (do maggiore)
Dedica: Jacques Charlot
3.    Scherzando (re minore)
Dedica: Igor Stravinskij
Organico: 2 pianoforti
Composizione: Pourville, 4 Giugno - 20 Luglio 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 21 Dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1915

Pourville sur-mer (Normandia), estate 1915: Debussy con la moglie Emma e la figlia Chouchou ha potuto trasferirsi in una villa che alcuni amici gli anno messo a disposizione. Da quando c'è la guerra umori e salute sono vacillanti, inclini alla depressione. La vita musicale è ridotta al minimo e quel che resta è preda di un nazionalismo germanofobo che non disdegna i toni estremi della lotta per la difesa della civiltà. Probabilmente su istigazione dell'amico Louis Laloy, musicologo eminente e fiero nazionalista, Debussy comincia a firmare le sue opere come Claude de France. Nei primi mesi del 1915 l'editore Durand chiede a Debussy di provvedere ad una revisione delle opere di Chopin per una nuova edizione: le edizioni tedesche non affluiscono più e anche in questo campo si va verso l'autarchia. Debussy si mette al lavoro e il contatto con quella musica che per prima e con grande profondità aveva segnato la sua coscienza di artista, è benefico e fertile. Nell'estate del 1915, sotto quel benefico influsso, il processo creativo di Debussy riprende con slancio: la Sonata per violoncello e pianoforte e quella per viola, flauto e arpa come parte di un ciclo di sei il cui progetto viene inviato con puntigliosa fierezza all'editore, gli Studi per pianoforte e i tre Capricci En blanc et noir. Sembra di assistere allo schiudersi di una stagione dominata da un nuovo fervore come ci racconta con voce incrinata dall'emozione il compositore in una lettera inviata all'amico Bernardino Molinari: «Pensi, caro amico, che sono rimasto per un anno senza poter fare musica... alla fine mi è quasi toccato reimparare. Era come una riscoperta e la musica mi è parsa ancora più bella! Dipende forse dall'esserne rimasto privo così a lungo? Non saprei. Che bellezza c'è nella musica tutta sola, voglio dire quella che non ha un partito preso e che nasce da una ricerca intrapresa per stupire i dilettanti...» I tre Capricci En blanc et noir sarebbero da ascrivere alla categoria della musica pura se non fosse che l'ora storica e i sentimenti che essa suscita in Debussy vengono alla ribalta in ogni modo, addirittura con l'aggiunta in forma di epigrafe di testi letterari che accompagnano la partitura.
Il primo dei tre brani, dedicato a Sergej Koussevitzky e redatto in un tempo Avec emportement, fa ricorso ad una breve citazione tratta dal libretto di Roméo et Juliette di Gounod, «Qui reste à sa piace - Et ne danse pas - De quelque disgrace - Fait l'aveu tout bas», in cui si riconosce l'amarezza di Debussy nell'essere costretto a restare lontano dal fronte. In maniera non troppo diversa da come sarebbe accaduto quattro anni più tardi a Ravel con La Valse, sulle due tastiere di questo Capriccio si alternano eleganze, languori, impuntature beffarde e spigolosità che puntano risolutamente verso il linguaggio novecentesco.
Del secondo Capriccio l'autore dichiara la drammaticità in una lettera all'editore Durand in cui parla di un colore scuro proprio dei Capricci di Goya. Il dedicatario è questa volta il tenente Jaques Charlot, il nipote dell'editore, quello stesso al quale Ravel avrebbe dedicato il Prelude del suo Tombeau de Couperin. Charlot era caduto al fronte solo qualche mese prima, nel marzo 1915, e la citazione che accompagna la partitura proviene dalla Ballade contre les ennemis de la France di Francois Villon. Alcuni accordi smorzati usati come tragici battiti, delineano nelle prime battute un orizzonte di grande desolazione sul quale si odono in lontananza segnali di trombe: viene in mente, pur con le enormi differenze, lo scenario di quegli stessi campi di battaglia rievocati qualche decennio più tardi da Benjamin Britten nel suo War Requiem. Questo brano possiede in effetti una rara complessità e ricchezza di motivi la cui incalzante contiguità sortisce prodigiosi effetti di estraniazione. Su uno di questi ci informa lo stesso Debussy in quella lettera già citata al suo editore: «Vedrete cosa può capitare a un Inno di Luterò per essersi imprudentemente avventurato in un Capriccio alla francese. Verso la fine, un modesto carillon suona una specie di Pre-marsigliese; pur scusandomi di questo anacronismo, penso che possa essere ammissibile in un'epoca in cui il selciato delle strade e gli alberi delle foreste non fanno che risuonare di questo canto». Dedicatario del terzo Capriccio, un virtuosistico Scherzando in 2/4, è l'amico Igor Stravinskij, mentre la citazione letteraria è tratta dalla ballata di Charles d'Orléans Yver, vous n'estes qu'un villain che Debussy aveva alcuni anni prima messo in musica in un trittico di componimenti per coro a cappella. Si tratta del Capriccio che maggiormente si accosta alla dimensione della musica pura grazie a una scrittura agile e virtuosa assai prossima al clima degli Studi nati anch'essi nella prodigiosa estate trascorsa a Pourville.

Petite suite, L 71
per pianoforte a quattro mani
1.    En bateau - Andantino (sol maggiore)
2.    Cortège - Moderato (mi maggiore)
3.    Menuet - Moderato (sol maggiore)
4.    Ballet - Allegro giusto (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1888 - 1889
Edizione: Durand, Parigi, 1889

Le composizioni di Debussy per duo pianistico costituiscono un corpus eterogeneo e composito - ascrivibile alla maturità artistica del compositore - e vanno distinte da quella serie di abbozzi e di trascrizioni della giovinezza nella quale hanno però radici significative.
Superando lo stadio sperimentale (il progetto di una "Symphonie en si" del 1880 e di un interludio orchestrale, il "Triomphe de Bacchus" del 1882, la trascrizione della cantata "L'Enfant Prodigue", che gli valse il Prix de Rome nel 1884), il pianoforte a quattro mani si afferma a pieno diritto con la "Petite Suite" del 1888/89, che trae spunto da una suite coreografica di Delibes. Nel lavoro sono presenti tutti gli elementi più tardi insistitamente ribaditi, come la pratica del gioco maggiore-minore che tende alla modalità (l'inizio "eolico" del "Menuet"), le scale a toni interi, il senso di partitura. Le allusioni alla tradizione francese (Couperin, Rameau), prendono l'alternanza di maschera e di volto con la tecnica di scrittura e con la forte ironia caricaturale e straniante nella quale le suggestioni sono immerse. In "En bateau", ad esempio, che contiene nelle due parti le matrici del "Clair de lune" (dell'anno successivo), l'ironia sull'iconografia marina del 6/8 si sovrappone alle fluorescenze e agli slittamenti cromatici dell'impressionista superficie liquida "inargentata dalla luna" (parole di Debussy per "Sirènes", terzo dei "Nocturnes" per orchestra). Questa "Suite", accanto agli accenti spagnoleggianti di "Cortège" ed al giocoso "Ballet", che qualcuno vuole legato allo stile di Chabrier, anticipa a tratti l'elemento estetico puramente decorativo dell' "arabesco". La scelta intenzionale del musicista è per il recupero di curve melodiche anteriori alla classicità (ma anche vicine al floreale ed ai Preraffaelliti); l'antico melisma di provenienza orientale aleggia sinuoso, al di sopra di ogni piano prospettico, quasi per un gioco di vento.

Johannes Brahms

Variazioni in si bemolle maggiore per orchestra, op. 56b

su un tema dal Chorale S. Antonii della Feldparthie n. 6, Hob:II:46 di Franz Joseph Haydn

Tema. Andante (si bemolle maggiore)
1.    Variazione I. Poco piu animato (si bemolle maggiore)
2.    Variazione II. Piu vivace (si bemolle minore)
3.    Variazione III. Con moto (si bemolle maggiore)
4.    Variazione IV. Andante con moto (si bemolle minore)
5.    Variazione V. Poco presto (si bemolle maggiore)
6.    Variazione VI. Vivace (si bemolle maggiore)
7.    Variazione VII. Grazioso (si bemolle maggiore)
8.    Variazione VIII. Presto non troppo (si bemolle minore)
9.    Finale. Andante (si bemolle maggiore)
Le Variazioni sul tema di Haydn, scritte nella duplice versione per due pianoforti e per orchestra, appaiono espressioni di un unico momento creativo dato il breve lasso di tempo intercorrente tra l'una e l'altra; la versione per due pianoforti, inserita in catalogo dallo stesso autore come Opus 56b, viene eseguita a settembre del 1873 con Clara Schumann, quella per orchestra il 2 novembre 1873, con Brahms alla direzione della Filarmonica di Vienna. La versione orchestrale è quella oggi più conosciuta e molto più spesso eseguita. All'interno della produzione sinfonica di Johannes Brahms, le Variazioni su un tema di Haydn op. 56a composte nell'estate 1873, rivestono un ruolo chiave, quello di una sorta di "prova generale" rispetto al grande cimento della Prima Sinfonia, eseguita nel 1876. L'ambizione di Brahms verso il mezzo orchestrale e il genere della sinfonia datava in effetti fin dagli anni giovanili; lo stesso Robert Schumann, nel celebre articolo "Neue Wege" ("Nuove strade", pubblicato nel 1853 sulla "Neue Zeitschrift für Musik"), con il quale impose all'attenzione del mondo musicale il ventenne Brahms, aveva chiaramente individuato la prepotente propensione del giovane verso la scrittura sinfonica. Nella sua prosa fiorita Schumann attribuiva a Brahms «un modo di suonare quanto mai geniale, che fa del pianoforte un'orchestra dalle voci ora lamentose ora esultanti di gioia. Erano Sonate o piuttosto delle Sinfonie velate...».
Ciò nonostante, l'approccio alla scrittura sinfonica doveva essere, per Brahms, estremamente sofferto, sia per il timore di confrontarsi, nel caso della sinfonia, con un genere ormai storicizzato, al quale gli autori romantici si erano avvicinati sempre con prudenza e circospezione; sia per la vera e propria difficoltà tecnica di definire una scrittura orchestrale sicura e personale. Basterà ricordare, a questo proposito, che lavori per orchestra come la Serenata op. 11, il Concerto per pianoforte op. 15, il Deutsches Requiem, assunsero la loro veste e forma definitiva dopo essere stati concepiti almeno in parte come partiture puramente sinfoniche.
È significativo che i timori e le esitazioni verso il genere sinfonico venissero finalmente superati in breve tempo dopo le Variazioni su un tema di Haydn, partitura che è caratterizzata fin dal titolo da due elementi che si imporranno come centrali nel sinfonismo di Brahms: l'attitudine storicistica e la tecnica della variazione.
Brahms fu tra i primi musicisti a considerare la musica del passato come oggetto di studio; non solo la musica del classicismo, ma anche la musica corale rinascimentale e barocca, accessibile allora attraverso manoscritti, o attraverso le prime edizioni "storiche". L'approccio del compositore non si limitò a Bach e Händel, ma si rivolse anche a Palestrina, Orlando di Lasso, Heinrich Schütz, autori la cui scrittura polifonica si ritrova a tratti nell'opera corale brahmsiana. Il "ritorno al passato" è dunque per Brahms tutt'altro che una semplice conservazione, il ritorno a stilemi compositivi desueti di una precisa epoca storica. È piuttosto un atteggiamento onnicomprensivo di ricerca verso la storia musicale e le sue tecniche compositive, studiate e assimilate con l'obiettivo di verificarne poi la possibilità di impiego in un contesto del tutto dissimile, aperto a una loro "rigenerazione". Non stupisce dunque che proprio a Brahms il musicologo Carl Ferdinand Pohl - bibliotecario della "Gesellschaft der Musikfreunde", la Società degli amici della musica di Vienna, della quale il compositore fu direttore artistico dal settembre 1872 - mostrasse, nel 1870, il manoscritto, datato 1784, di sei Feldparthien per complesso di fiati (due oboi, due corni, tre fagotti, un serpentone), indicandogli come autore Franz Joseph Haydn; e che Brahms annotasse sul suo quaderno di appunti il tema del secondo tempo della prima composizione, il Divertimento in si bemolle maggiore. All'interno della composizione - destinata probabilmente alla banda militare degli Esterhàzy, i nobili ungheresi presso i quali Haydn prestava servizio, e la cui attribuzione a Haydn, tuttavia, è stata in seguito scartata, in favore di quella a Ignace Pleyel, che di Haydn fu allievo - quel tema era verosimilmente, a sua volta, la citazione da un antico canto processionale austriaco, il cosiddetto "Chorale in honorem St. Antonii".
Proprio il carattere "antico" e popolare di questo tema doveva risultare ideale per Brahms, nel momento in cui si determinò a cercare la strada delle variazioni orchestrali. La scelta del tema con variazioni per una composizione orchestrale - del tutto desueta, se si pensa che l'ultimo autore ad adottarla era stato Antonio Salieri nel 1806 - era del tutto mirata e fortemente significativa per Brahms, che già in campo pianistico e cameristico aveva dato vita a importanti raccolte di variazioni; consentiva infatti al compositore di assumere una "regola" a partire dalla quale sperimentare trasformazioni melodiche e impasti orchestrali (e cautamente l'autore si cimentò prima in una stesura per due pianoforti op. 56b, che aveva la funzione di porre le basi del lavoro di strumentazione); un passaggio essenziale per raggiungere la desiderata sicurezza nella scrittura sinfonica, se si considera che il principio della "variazione-sviluppo" - cioè della continua trasformazione di incisi tematici - è peculiare del linguaggio di Brahms, sia cameristico che orchestrale.
Come lo stesso autore ebbe a scrivere, per comporre delle variazioni «è indispensabile scegliere un tema il cui basso abbia un solido peso: per me il basso è più importante della stessa melodia. È infatti la sua vera guida, e anche il controllo della fantasia». Ecco dunque che le Variazioni op. 56a seguono la strada di mantenere immutato il basso del tema, in quanto a configurazione melodica e articolazione periodica, e di costruirvi sopra otto episodi fra loro diversissimi, seguiti da un finale più libero. Il richiamo al passato, il peso della storia, non si avverte tanto nella scelta del tema di Haydn, quanto nell'ascendenza barocca di certe scelte di strumentazione e nel peso della polifonia, che innerva fittamente tutta la partitura.
Dopo il tema, il cui carattere di corale è accentuato dalla strumentazione per fiati, con gli archi pizzicati, la prima variazione si basa sui rintocchi scanditi dei fiati, su cui gli archi costruiscono un fluido melodizzare; la seconda, in minore, su uno slancio schumanniano che reca però, nella contrapposizione fra archi e fiati e fra livelli dinamici, anche un'impronta barocca. La terza ha il carattere di corale figurato, e vede poi in primo piano i dialoghi fra gli strumenti a fiato. Evidentissima è la polifonia barocca nella quarta, in minore, innervata da un crepuscolare lirismo; mentre la quinta, leggerissima e trapuntata, ha il carattere dello scherzo mendeissohniano. La sesta è una sorta di marcia, esposta dai corni, ripresa responsorialmente dai legni, e potenziata nella seconda parte dagli slanci eroici degli archi. La settima è una parentesi contemplativa, basata sul cullante ritmo di siciliana, dove gli stilemi pastorali vengono impreziositi da armonie iridescenti; l'ottava invece si dipana come un misterioso moto perpetuo, con un progressivo sovrapporsi di linee fittamente intrecciate.
Così come le Variazioni su un tema di Händel per pianoforte si concludevano con la forma barocca della fuga, così le Variazioni su un tema di Haydn - anticipando una scelta che apparterrà poi alla Quarta Sinfonia - si chiudono con un'altra forma barocca, quella della passacaglia, consistente in un breve basso che si ripete sempre uguale, e sul quale vengono costruite variazioni sempre rinnovate; abbiamo dunque in questo nono e ultimo episodio il principio della variazione al quadrato che, nella varietà delle soluzioni espressive che trapassano coloristicamente dall'una all'altra, compendia e riassume tutti i principi costruttivi della raccolta. Nello studiatissimo climax espressivo di questa conclusione si fa luce progressivamente il tema del "Chorale in honorem St. Antonii", che corona tutta la costruzione sinfonica con una affermazione grandiosa e vitalistica.

Informazioni, orari e prezzi

Convento dei SS. XII Apostoli - Sala Immacolata
Via Del Vaccaro, 9

Ore 18.30

Biglietti € 15,00 - ridotti € 8,00
 
Informazioni e prenotazioni: 333 45 71 245



Dove e quando

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