Eva Macali lavora da sempre nella comunicazione tra istituzioni, scrittura e progetti d'arte personali. Con i suoi Faccioni intende restituire lo sguardo alle immagini di donne oggettivate dalla pubblicità, ribaltando così la relazione gerarchica tra chi guarda e chi è guardato. "Uno dei miei obiettivi - dice - è che le donne che rappresento possano ricevere la loro soggettività indietro. … La mia sperimentazione interviene tra i codici della pittura moderna, della fotografia e dei mezzi di comunicazione di massa; è in generale connessa al tema più ampio dell'iconografia".
Scrive Roberto Gramiccia nel testo I Faccioni, gli sguardi, la domanda che accompagna la mostra: "…. Che i faccioni di Macali siano tutti femminili non è un caso naturalmente. Prima di tutto perché è la bellezza e l'avvenenza femminile, più di ogni altra cosa, ad essere fatta oggetto dalla pubblicità che conosce da decenni la sua produttività, la sua efficacia nel farsi tramite del messaggio commerciale. E, in secondo luogo, perché l'operazione dell'artista vuole fortemente radicarsi nel solco di un femminismo che non trova ristoro e soddisfazione nelle autostrade elettroniche del cyberspazio (Virilio). Che non si limita a semplici e tardive declamazioni, ma della condizione della donna studia le influenze del patriarcato residuale e quelle del capitale. … I Faccioni di Eva Macali sono nella tradizione ma anche fuori della tradizione, si diceva. Realizzati da quella che potremmo definire una energica gazzella del post-pop, e che è anti-pop com'è naturale per un'artista che ha a che vedere con una cultura mediterranea. Una cultura che da millenni, piuttosto che dare risposte, preferisce farsi domande. Le stesse che nascono dalle traiettorie degli sguardi dei faccioni che oggi si incrociano al Centro Di Sarro. In ogni sguardo c'è una domanda. E in quella domanda è riposto il senso più profondo della vita."
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