Accostare queste due parole, anima e animale, genera un paradosso. L'assonanza che deriva dalla radice latina che hanno in comune tradisce una contraddizione, anzi, una negazione storica. Nella nostra lingua sono proprio gli animali le creature a cui la cultura cristiana nega l'anima. Anima che è riconosciuta come esclusiva della specie umana. Nell'orizzonte simbolico cristiano pagano la condizione animale dell'uomo è nobilitata dal carattere trascendente di un'anima immortale, che giustifica la riduzione delle altre specie viventi a cose, strumenti e merci indispensabili agli animali umani per restare in vita. Ma negare anima e cioè valore intrinseco alle altre creature viventi condanna l'uomo a una separazione arbitraria dalla propria dimensione vitale che rischia di distruggerlo.

La contraddizione ci sta davanti agli occhi: le specie selvatiche si stanno estinguendo rapidamente mentre quelle allevate crescono sempre più di numero ma conducono esistenze atroci. Ma il modo in cui trattiamo gli animali presume la più completa indifferenza verso la vita animale, anche la nostra. Siamo sempre più soli sul pianeta e sempre più esposti all'autodistruzione.

« Io credo… che l'animale, compagno di tante solitudini, di tante tristezze, in misura varia secondo la sua coscienza – affermo e ripeto coscienza – ci accompagnerà anche nell'altra vita, e non ci si chieda di spiegare il perché » scrive il teologo e biblista Paolo De Benedetti « Lo sguardo dell'animale che patisce, – al pari di quello del bambino che soffre, dell'uomo che muore, del perseguitato inerme – 'mostra', in maniera inequivocabile, da che parte inclina – non so se si possa davvero dire così – lo sguardo di Dio"


La convinzione di Paolo De Benedetti che il più grande problema che la teologia ha di fronte è la sofferenza degli animali interroga questa negazione. Come la domanda implicita nel titolo dell'opera esposta alla Galleria Nazionale We are all flesh, Siamo tutti carne, dove la carne assume il valore di materia animale vivente, senziente e capace di relazione. Che cosa ci dice un cavallo morto trasfigurato in un'opera d'arte? Ci impone di guardare questa carne dissacrata e di riconoscerle, attraverso un gesto artistico, un valore sacro?

E che cosa ci dice la giovane delfina che è apparsa nel 1955 sulle coste di un'isola della Nuova Zelanda e ha portato alla popolazione locale una carica di felicità?

Biografia

Patrizia Zappa Mulas si laurea nel 1988 a Milano. Nel 1998 esordisce con il novel L'Orgogliosa (ed. La Tartaruga). Pubblica nel 2000 il Rosafuria, nel 2006 Tigre adorata (ed. Nottetempo) e nel 2011 la raccolta di racconti Purché una luce sia accesa nella notte (Et. al. edizioni). Ha ideato e curato la pubblicazione del teatro di Franca Valeri, Tragedie da ridere (2003) e dei suoi scritti musicali Di tanti palpiti (2009). Ha curato la pubblicazione di dell'opera di Alice Ceresa, la maggior scrittrice sperimentale del '900.

Informazioni, orari e prezzi

Ore 18.00

Ingresso libero

Maggiori info:
T +39 06 3229 822
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Dove e quando

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