Mercoledì 22 novembre l'Associazione Culturale Ottavo Atto presenta al Contestaccio "La Piccola Compagnia dell'Ottavo Atto" in Lucrezia violata, opera teatrale con la regia di Martina Marone e Roberta Provenzani. Lo spettacolo è il prodotto di uno primo studio condotto sul poemetto The rape of Lucrece di William Shakespeare. Lucrezia è il simbolo della fedeltà coniugale, della virtù e della modestia femminile. Tratto dalla storia romana, i versi narrano la violenza esercitata da Sesto Tarquinio ai danni di Lucrezia, casta moglie di Collatino e il successivo suicidio della donna, che spinse il popolo romano a ribellarsi al giogo della tirannia. Una performance teatrale forte, di grande impatto visivo ed emozionale, realizzata attraverso la tecnica del teatro-danza, che vede l'unione dell'arte recitativa supportata da movimenti danzati e da parole cantate. Un allestimento scenico essenziale che vuole dare spazio a corpi, voci ed anime. Lo studio teatrale coordinato dalle due registe intende regalare allo spettatore uno sguardo, un punto di vista, una forma artistica di denuncia su un tema tanto spietato quanto attuale come lo stupro, ma con la delicatezza ed il rispetto dell'arte teatrale.

In scena ci saranno giovanissimi attori del territorio della periferia romana, chiamati a una prova durissima, che niente vuole celare: lo stupro è "danzato" senza "maschere", ma mai banalizzato o volgarizzato perché l'intento è quello di mostrare con accurata sensibilità e forte potenza espressiva la violenza di questo atto. Lucrezia Violata è l'occasione per una doppia e profonda riflessione. Da una parte Lucrezia, rappresentata da tutte le donne in scena, ha la possibilità di dare voce alle conseguenze devastanti di quel gesto: la rabbia, il senso di colpa, la vergogna, l'odio contro se stessa, la voglia di dimenticare, il desiderio di vendetta, fino all' estrema decisione di chi non trova altra strada per riaffermare la propria dignità e denunciare con forza il proprio aggressore. Dall'altra parte viene dato ampio spazio anche ai pensieri del carnefice, vittima dei propri istinti, delle proprie fantasie perverse, in balia di un impulso irresistibile, che lo condannerà, inesorabilmente, a commettere quel crimine che lui stesso definisce «Sacrilegio ch'ogni empietà racchiude!».
La parola narrata, riadattata per la scena ad un più diretto e carnale dialetto romanesco, espliciterà il succedersi degli eventi, evitando lo smarrimento dello spettatore, guidandolo verso una comprensione totale di quella violenza che si sta compiendo davanti ai suoi occhi. Ad amplificare l'effetto anche la musica che sottolinea la poetica drammaticità di un atto tragico e imperdonabile come lo stupro.

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