Luigi Boille - scomparso a Roma il 20 aprile, all’età di 89 anni - può certamente definirsi uno dei maggiori artisti italiani contemporanei . Ammirato e sostenuto da grandi critici e storici dell’arte, quali Lionello Venturi, Michel Tapié, Giulio Carlo Argan, Guido Ballo, Cesare Vivaldi o Pierre Restany, non è ancora sufficientemente noto al grande pubblico, nonostante l’eccezionale qualità e originalità del suo lavoro e la sua inconfondibile cifra stilistica lo pongano al livello dei maggiori maestri italiani del secondo Novecento.
La pittura di Luigi Boille si muove dall’informale verso una poetica sempre più personale, in cui il caos delle pulsioni espressive va sempre più strutturandosi in armoniose composizioni spaziali. Dalla disseminazione della materia-colore e dei segni, o dal loro assemblarsi fittamente nello spazio in una sorta di horror vacui, Boille va verso la rarefazione, il libero fluttuare del segno nel colore, o nel bianco, o nel nero, senza tuttavia perdere mai la sua straordinaria ricchezza pittorica. Il segno in Boille è l’elemento di coesione tra pensiero e gesto, tra spazio e colore, e attraverso l’interazione di tutte queste componenti l’artista difende il ruolo centrale ed essenziale del linguaggio della pittura, come scriveva Argan nel 1973: il segno di Boille “svolgendosi e modulandosi come pura frase pittorica, realizza e comunica uno stato dell'essere, di immunità o distacco o contemplazione”.
Quello con Parigi e quello con il grande critico francese Michel Tapié, all’inizio degli anni ’50, furono due incontri fondamentali per Luigi Boille, allora giovane artista di origine friulana, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma e laureato in architettura nella stessa città. Tapié riconobbe nella pittura “informale” di Boille la potenza creativa di quell’ “art autre” di cui aveva parlato nel celebre libro omonimo, edito nel 1952: assoluta libertà da ogni regola, da ogni schema, unita alla capacità di suscitare nello spettatore la sensazione continua di qualcosa di inatteso e sorprendente…E dobbiamo davvero dire che ancor oggi l’arte di Boille è così, dopo un percorso evolutivo di più di cinquant’anni, dopo aver attraversato periodi caratterizzati da stimolanti variazioni espressive, variazioni, tuttavia, svolte sul filo di una ricerca serrata e coerente. Nell’ambito di tale ricerca giunge ben presto a maturazione una cifra stilistica inconfondibile, che fa dialogare il nostro sguardo e il nostro pensiero con una materia visibile e vivente dove non si danno soluzioni definitive, ma solo processi di sconfinamento e di avvicinamento verso l’altrove, tensioni che caricano la pittura d’azione e di emozione. I propositi programmatici non servono, il colloquio tra opera e spettatore si costruisce volta per volta, come possibilità del “lettore” di entrare nel dinamismo segreto di questa “scrittura” creativa. Le idee e i sentimenti racchiusi nella superficie sono presenza tattile e corporea: una vera presenza di sensi pittorici che si trasmettono al corpo-mente dello spettatore il quale, assumendo il punto di vista del pittore, sperimenta la propria capacità di sentire l’immagine. Per questo il lavoro di Boille non si lascia mai rinchiudere in definizioni: il suo senso non è mai riducibile a una serie di dogmi che esprimono situazioni chiuse. L’apertura assoluta allo spazio, al mondo, allo sguardo caratterizza infatti, da sempre, la pittura di Luigi Boille. Il suo gesto si apre al colore come evento fisico e insieme immaginativo: la pittura pretende di essere se stessa senza funzioni illusorie, illusive, illudenti, presentandosi nella sua nuda realtà di linguaggio possibile, alle prese con le infinite possibilità dello sguardo.
Una straordinaria ricchezza segnico-cromatica connota questa ricerca pittorica, sin dai suoi esordi informali, rappresentati qui dal bellissimo Retour (1953). Ma Boille si muove dall’informale verso una poetica sempre più personale, in cui il caos delle pulsioni espressive va sempre più organizzandosi in composizioni spaziali in cui ritmo, armonia e dissonanza danno vita a strutture affascinanti e paradossali: architetture paradossalmente fluide e fluttuanti. Vediamo allora, negli anni ’60, Boille muoversi dalla disseminazione della materia-colore e dal suo progressivo orientarsi secondo linee di forza che accennano a primordiali geometrie (Confronto completo, 1961), alla concezione di uno spazio totalmente fluido e fluttuante, avvolgente e “barocco”, una sorta di campo magnetico infinito, dove infinite onde di colore si accavallano senza posa (Ipercomplesso, 1966).
Vediamo ancora, negli anni ’70, che Boille continua a saturare lo spazio in un totalizzante horror vacui, ma sceglie di affollarlo di segni minuscoli e di grafie a-semantiche, straordinariamente raffinate e capziose.
Ma eccolo, negli anni 80, iniziare un percorso verso la rarefazione, la fluttuazione del segno nel vuoto dello spazio-colore: in opere come Centralità implosione (1984) una misteriosa e intensissima forza centripeta attrae il colore, la materia e la luce verso il centro del quadro, strutturandoli in minimali figure geometriche, suggestive come simboli sacri. Ecco che poi torna a prevalere, all’inizio degli anni ’90 (Campo di segni in contrasto, 1991) l’impulso centrifugo: torna a disseminare i segni e a farli “respirare”, fluttuare nel vuoto di uno spazio sempre più libero, e che più di ogni altro riesce ad evocarci l’infinito… L’essenza grafica del segno nell’infinito è la protagonista assoluta delle opere più recenti di Boille.
Il segno in Luigi Boille è l’elemento di coesione tra pensiero e gesto, tra spazio e colore, e attraverso l’interazione di tutte queste componenti l’artista tratteggia un profilo della pittura come espressione assoluta e assolutamente pura. Pittura come esperienza non confrontabile con la questione della letteratura o della sociologia: pittura riferibile solo al dipingere, dove dipingere significa porsi in una discontinuità, in una musica di variazioni, in una “répétition différente” (Deleuze), in un processo mai uguale a se stesso, in una situazione dove il fluire e il fluttuare delle immagini si costruisce e si decostruisce continuamente. La pittura non è intesa come un linguaggio persuasivo né retorico: è un’etica dello sguardo che si rivolge agli stupori dell’immagine, all’incanto che va svelato volta per volta, a ipotesi a venire, a eventi provvisori e possibili, in cui la pittura riconosce la persistenza di vie infinite verso le fonti del colore e del segno. Si tratta di prefigurazioni della memoria, presagi di un futuro senza destinazione, nodi d’intersezione fantastica, grafie del tempo, precipizi enigmatici dove lo sguardo è affascinato dal mistero della materia dissolta in mille rivoli, dispersa da energie che galleggiano nel vuoto, dalla forza imponderabile dei segni che slittano dai percorsi stabiliti.
La Galleria Marchetti vorrebbe salutare Luigi Boille, che ci ha lasciato, con le bellissime parole dedicategli da Tullio De Mauro nel catalogo della LIV Biennale di Venezia:
Alla sua opera l’età avanzata … non toglie intensità nella ricerca continua di risultati che a me paiono suggestive e splendenti testimonianze della sua vivida capacità di catturare nel segno pittorico l’emergere di luce, “fiocchi di luce”, dal buio del cosmo. Anni fa Boille stesso ha detto di riconoscere in due versi di René Char, il poeta della nuit qui rayonne sur le monde, il senso della sua pittura:
Si nous habitons un éclair, il est le coeur de l’éternel.
Tullio De Mauro, 2011
LUIGI BOILLE 1926-2015
Nel segno dell’infinito
LUIGI BOILLE, (Pordenone, 3 aprile 1926 – Roma, 20 aprile 2015 )
UN GRANDE CI HA LASCIATO: LA PARABOLA ARTISTICA DI LUIGI BOILLE
Nota Biografica
Nato a Pordenone nel 1926, Luigi Boille si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma nel ’49. L’anno successivo si laurea in architettura, e subito dopo si trasferisce a Parigi, dove si stabilisce. Già nel ’53 la sua pittura rivela una matura e originale assimilazione dell’Informale, e ciò lo avvicina al gruppo della Jeune Ecole de Paris, con cui espone in numerose collettive.
Conosce il grande critico francese Michel Tapié, che lo inserisce nella sue ricerche sull’”Art autre” e coglie nella sua pittura “elementi barocchi”, anche se nel lavoro di Boille il dinamismo e l’”irrazionalismo” riconducibile al barocco saranno sempre equilibrati da un senso “classico” di misura e di rigore formale.
Nel 1964 Luigi Boille rappresenta l’Italia insieme a Capogrossi, Castellani e Fontana al Guggenheim International Award di New York. Nel ’65, rientrato temporaneamente in Italia, a Roma partecipa alla Quadriennale, e l’anno dopo è invitato alla Biennale di Venezia, dove è recentemente tornato, partecipando alla LIV Edizione (2011).
Per quindici anni è stato in rapporti contrattuali con la Galleria Stadler di Parigi (una fra le più importanti al mondo), dove ha tenuto diverse mostre. Importante anche il rapporto con la storica Galleria del Naviglio di Milano e con il suo fondatore e titolare, Carlo Cardazzo.
Si è spento a Roma, il 20 aprile 2015.
Ininterrotto è l’itinerario delle sue mostre personali e collettive. Tra le più importanti, le personali alla Galleria del Naviglio (Milano) e alla Galleria Qui Arte Contemporanea (Roma), nel 1974, a Palazzo dei Diamanti di Ferrara (1984), alla Galleria Giulia di Roma (1986), alla Galleria Roubaud (1991) e all’Istituto Italiano di Cultura a Monaco di Baviera (1992), alla Galleria L’Isola (Roma) nel 1993, allo Studio Simonis e alla Galleria Stadler (Parigi) nel 1997; le collettive Informale in Italia, alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna (1983) , Geografie oltre l’Informale alla Permanente di Milano (1987) , Tapié et l’art informel , alla Galerie 16 di Parigi (1989). Opere di Boille sono presenti nelle maggiori collezioni e musei del mondo.
La Galleria Marchetti di Roma è orgogliosa di avergli dedicato sette mostre personali:
1999, 2001 , 2002 (Opere scelte anni ’60), 2007 (Nel segno dell’infinito), 2009 (Fluttuazioni. Opere 1953-2009), 2012 (La pittura più pura possibile – Opere 1952-2012), 2013 (Segno e colore oltre il postmoderno, doppia personale, con Eliseo Sonnino).
Tra le ultime collettive della galleria a cui ha partecipato l’artista:
2011, Artisti della Galleria Marchetti al Padiglione Italia della LIV Biennale di Venezia: Boille, Lorenzetti, Notargiacomo; 2013, Icone dell’invisibile - 21 volti dell’astrazione nell’arte italiana contemporanea; 2014, Artisti italiani della Tartaruga – Nel decennale della scomparsa di Plinio De Martiis (2004-2014).
Il 20/04/2015
Galleria Marchetti
Via Margutta, 8 - Roma
Centro