CARAPACE: STORIA DI UNA PREDAZIONE E QUALCHE MISTERO
Duccio Trombadori
"Essendo dati il carapace, il tavolo da cucina, le scatole luminose delle albe e dei tramonti sull'Oceano indiano…": viene fatto di ripetere a memoria il noto motivo esoterico di Marcel Duchamp ("Etant donnés: 1, la chute d'eau; 2, le gaz d' éclair- age…") di fronte alla sintesi di precisione realistica e atmosfera magica tentata da Federica Dal Falco per rendere intuitivo e sensibile l'intimo dissidio tra la vita e la forma, l'anima vitale e la sua schematica rappresentazione.
In questa sorta di "quattrocentismo" procedurale (razionalità e fantasia compositiva) la virtuosa camera ottica dell'autrice predilige esibire la ricomposizione di un sintomatico e correlativo repertorio di oggetti evocandoli in situazione, come di fronte ad una teca museale percorsa dall'emotività. Ed è proprio la passione dichiarata per i musei di scienza naturale a suggerire l'estro visivo di una composizione che riesce a sottrarre il dato (il carapace) dall'ambito classificatorio (la teca) immettendolo come "oggetto ansioso" in un dispositivo immaginario imprevisto che rilancia in chiave eco-etologica la dialettica uomo-natura.
Tema antropologico, tema genetico-biologico, o tema storico-sociale…? Sono le principali domande emergenti dalla messa in scena del fatale "klinamen" storico che a un certo punto favorì l'estinzione della speciale testuggine Cylindraspis, spettacolo allestito con accurata precisione grazie ad un istinto narrativo che dall' esito apparente di un "destino naturale" sprigiona la forza altamente persuasiva riguardo al prepotente fomite, apparentemente incoercibile, della voracità umana.
Il dramma simbolico così rappresentato si svolge in una sintesi unitaria di tempo e luogo, con una visione simultanea ripresa da un'impalcatura di naviglio, come percepita da un oblò: qui spunta il carapace a placche (guscio, o abitazione, o metafora d'ogni architettura, forma sottratta al flusso esistenziale), qui la traccia dell' homo sapiens (la metonimia del tavolo da cucina, luogo rituale per la metamorfosi del cibo), qui gli orizzonti del tempo e dello spazio, luogo dello sterminio biologico (il sorgere e lo scomparire del sole). La macchinazione visiva procede dal guscio vuoto e diafano della tartaruga (reminiscenza residuale, osso di seppia, radice del freddo classicismo) al colore trasmesso per effrazione di corrente luminosa, come parafrasi scansionata dell'evento.
Ed è in questa intermittente percezione del tempo (quando estatica, quando scorrevole) che la qualità della installazione, oltre che significativa, si rende persuasiva sul piano estetico. Come in un progressivo sacrificio rituale l'evento espiatorio si annuncia nei dettagli (l'oro dell'alba, il rosso sangue del tramonto) perché c'è sempre un senso magico, o sacrale, da scoprire nella vita quotidiana degli uomini, delle cose.
Proiettata su uno scenario di precisa incidenza storico-sociale, la narrazione di Federica Dal Falco introduce un impeccabile elemento di giudizio sulle radici del genocidio delle tartarughe Cylindraspis, seguito all'irruenza cieca dell'avventura coloniale europea. Ma la sequenza e la sintesi della sua installazione sembrano travalicare visivamente anche il dato storico e circostanziale per accedere ad una raffigurazione simbolica del metabolismo universale dell'uomo con la natura.
Nulla di nuovo, allora, sotto il sole? In questa coinvolgente ambiguità semantica si distingue e si fa apprezzare il "Carapace" allestito da Federica, opera che tanto più persuade in quanto invita, più di qualunque altra spiegazione, ad apprezzare la suggestiva presenza del "magico" nei fatti quotidiani e ad esprimere coi mezzi dell'arte il mistero del mondo.
Federica Dal Falco - Architetto, Dottore di ricerca in Tecnologie dell'architettura, è professore di Design presso il Dipartimento PDTA, Sapienza Università di Roma. Direttore del Master in Exhibit Design, è responsabile scientifico di accordi di collaborazione scientifica e culturale con Musei italiani e Istituti di Cultura all'estero. Guest Investigator CIEBA (Centre for Research and Studies in Fines Arts, Universidade de Lisboa) è membro eletto di National Academy of Design (Federazione Russa). I suoi studi riguardano l'architettura e il design del Razionalismo italiano e internazionale, la comunicazione visiva e multimediale anche con realizzazione di documentari dedicati alla cultura progettuale romana del Novecento, lo spazio pubblico per la rigenerazione di luoghi e contesti. Ha pubblicato oltre cento contributi tra articoli su riviste, saggi e libri. Due volumi e un documentario sono stati selezionati per ADI Design Index, e premiati con Premio Eccellenze del Design nel Lazio (2013, 2014, 2022). Nell'ambito della sperimentazione progettuale tra arti, design e nuove tecnologie ha realizzato video, lightbox, sculture 3D printing e installazioni, partecipando a Mostre Internazionali collettive e personali. Il suo lavoro si basa sul concetto di metamorfosi della materia - dal pesante al leggero, dall'opaco al trasparente - e sulla reinterpretazione digitale di immagini e segni. Tema centrale è la trasformazione dell'uomo riguardo al proprio vissuto, al cospetto di specie e oggetti estinti, testimoni di mutamenti ambientali, sociali, politici.
CARAPACE
Federica Dal Falco
Carapace è la ricostruzione della teca della tartaruga gigante Cylindraspis Vosmaeri estinta alla fine del XVII secolo.
La specie era endemica di Rodrigues, piccola isola di 103 kmq situata a 348 miglia a est del Madagascar, nell'arcipelago delle Mascarene. La storia naturale del luogo è, fin dagli inizi del Settecento, tra le più conosciute, grazie alle memorie di François Leguat, di Julien Tafforet, di Gui-Alexandre Pingré e di Philibert Marragon.
Nell'era dell'Antropocene, Carapace è un segno della fragilità della vita e della sparizione, della predazione e della colonizzazione, che restituisce con un'inversione temporale visibilità alle modificazioni ecologiche operate dall'uomo. Dall'oblio, di memoria in memoria, la scultura trasferisce l'animale scomparso in una forma metafora dell'incarnazione.
Carapace è il reperto di una narrazione e nasce da una passione per i Musei di Scienze Naturali. A Parigi, nella Grande Galerie de l'Evolution, vi è una sala in penombra dove in teche originali di mogano e vetro sono conservati più di 430 animali estinti perlopiù da cruente predazioni umane. È la Salle des espèces menacées et des espèces disparues che tra gli altri esemplari, espone il carapace di una testuggine gigante a cupola, la Cylindraspis Peltastes, anch'essa presente nell'isola di Rodrigues. Dal punto di vista filogenetico, le due tartarughe terrestri erano imparentate per via di una comune antenata originaria di Mauritius, la Cylindraspis Triserrata, dato comprovato da recenti studi condotti sul loro DNA. Gli animali coabitavano pacificamente, si distinguevano per le dimensioni, ma soprattutto per la forma del carapace che nella Cylindraspis Vosmaeri era "sellato", con il bordo anteriore rialzato. Questa morfologia consentiva al rettile di estendere il lungo collo per cibarsi delle foglie di alti arbusti. Le specie vennero descritte per la prima volta da François Leguat, un ugonotto francese originario della provincia di Bresse che nel 1689 si trasferì nei Paesi Bassi.
La sua storia si intreccia con quella del marchese Henri du Quesne, il cui progetto era di fondare una colonia di rifugiati francesi protestanti sull'isola di Réunion.
Con la cooperazione della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, il marchese predispose due navi e formò l'equipaggio, cui prese parte Leguat. Nel frattempo, la Francia aveva inviato una flotta a la Réunion e Du Quesne fu costretto a cambiare il suo piano, ma non lo comunicò ai futuri coloni.
Il 10 luglio 1690 Leguat e altri ignari volontari si imbarcarono ad Amsterdam sulla fregata L'Hirondelle alla volta delle isole Mascarene. Approdato a Rodrigues il 16 maggio 1691, l'ugonotto francese venne abbandonato con sette compagni sull'isola disabitata dove restò fino al 21 maggio 1693, quando riuscì a raggiungere Mauritius con un'imbarcazione di fortuna. Inizialmente ben accolti dal Governatore Rodolfo Diodati, i rifugiati vennero poi accusati di aver trafugato da Rodrigues un prezioso pezzo di ambra grigia del peso di sei libbre e imprigionati nell'isoletta di Vacaos in condizioni disperate. Nel settembre del 1696 gli uomini furono trasferiti a Giacarta e dichiarati innocenti dal Consiglio Olandese. Leguat rientrò in Europa nel giugno del 1698. Nel 1707, a quasi settant'anni, pubblicò le sue memorie dal titolo "Voyage et avantures de François Leguat et de ses compagnons, en deux isles désertes des Indes orientales: avec la relation des choses les plus remarquables qu'ils ont observées dans l'isle Maurice, à Batavia, au Cap de Bon Espérance, dans l'isle de Sainte Hélène, et en d'autres endroits de leur route. Le tout enrichi de cartes et de figures".
Naturalista per caso, Leguat descrisse e illustrò con dovizia di particolari le piante e gli animali che aveva visto e studiato. Tra questi vi erano le tartarughe giganti, il cui singolare comportamento si rivelava al tramonto quando in branchi, strette le une alle altre, si radunavano così numerose da far sembrare l'isola pavimentata con le loro teche. Il piano mobile di carapaci che si componeva nell'oscurità per dissolversi all'alba era come un tappeto fluttuante, un campo di forze instabili, metafora dell'esplorazione, dei viaggi e dello stesso nomadismo di Leguat. O forse il francese sognava e l'impressionante rito era frutto di un'illusione notturna, composto da phantasmata creati ad arte dalla natura.
In ogni caso, Leguat annotò un'altra strana manifestazione degli animali, definendolo un vero e proprio mistero. I branchi erano controllati da tartarughe sentinella che si posizionavano sui quattro lati del campo con le teste rivolte verso l'esterno, come se volessero proteggere il raduno. In realtà, gli animali non erano in grado di difendersi e tantomeno di fuggire. Così, ad opera dell'uomo, i trecentomila esemplari presenti sull'isola ai tempi di Leguat si estinsero nell'arco di circa cent'anni.
Secondo lo storico Alfred North-Coombes, lo sterminio delle testuggini venne organizzato in modo sistematico dal 1735, utilizzando una dozzina di Negri sotto il comando di un ufficiale bianco. I cacciatori costruivano dei recinti, rinchiudevano gli animali per poi caricarli su battelli chiamati "tortoise boat" e trasportarli a Mauritius.
Tale ricostruzione si avvale della testimonianza dell'abate Gui Alexandre Pingré, membro di una spedizione scientifica destinata a uno dei grandi eventi astronomici del secolo dei lumi, l'osservazione del passaggio di Venere sul disco solare del 6 giugno 1761. Questo rarissimo fenomeno astronomico, che segue un doppio ciclo con un intervallo di 8 anni per la fase breve e di 130 anni e mezzo per quella lunga, divenne oggetto della prima cooperazione internazionale dedicata alla ricerca scientifica. Pingré era un raffinato studioso, membro de l'Académie des Sciences de Paris, teologo, geografo e astronomo specialista nella determinazione delle longitudini, questione all'epoca cruciale. La sua missione lo condusse nell'Oceano Indiano, a Rodrigues, a l'île de France, a l'île Bourbon e a La Réunion. L'abate conosceva bene le memorie di Leguat e forse anche quelle dell'esploratore francese Jean Tafforet, altro naufrago e testimone con la sua Relation de l'isle Rodrigues della presenza sull'isola di specie endemiche oggi estinte. Dopo aver eseguito le sue verifiche sul luogo, Pingré scagionò i sospetti che aleggiavano sul diario dell'ugonotto. E, a proposito delle tartarughe giganti, mise in relazione la diminuzione della specie con l'aumento della presenza umana, quasi si trattasse di grandezze inversamente proporzionali. Il motivo era semplice: la squisita carne dei Cheloni era considerata un ottimo nutrimento e un antidoto allo scorbuto. Secondo l'abate, il Governatore de l'île de France avrebbe inviato ogni due o tre mesi una corvetta per il trasporto delle tartarughe destinate ai malati dell'ospedale di Port Louis. Nel gennaio del 1768, L'Heureux effettuò l'ultimo grosso trasporto di Cylindraspis Vosmaeri, costituito da più di mille esemplari. Il cerchio di questa storia di scoperte scientifiche, colonizzazioni, predazioni e sparizioni si chiude con la Mémoire sur l'isle Rodrigue di Philippe Marragon, datata 8 luglio 1795. Le diciassette pagine autografe costituiscono l'ultima fonte di conoscenza dei cambiamenti della flora e della fauna avvenuti sull'isola nell'arco di un secolo, prima del passaggio al dominio inglese, avvenuto nel 1809. Marragon era un sergente del reggimento Royal-Comtois, e aveva conosciuto le isole Mascarene nel 1769, all'età di vent'anni. Era stato a Rodrigues nel 1791 e tre anni più tardi venne nominato Amministratore civile dell'isola. Dopo un anno di permanenza e numerose perlustrazioni, denuncerà nella sua Mémoire la completa distruzione delle testuggini. Con un unico, triste avvistamento di due esemplari nel fondo di un burrone inaccessibile.
Informazioni, orari e prezzi
Dal 21 ottobre al 26 ottobre 2024. Dalle 18:00 alle 20:00
A cura di
Duccio Trombadori
Allestimento
Federica Dal Falco, Patrizio Cipollone.
Progetto grafico: Anna Turco.
Comunicazione: Maria Luisa Priori.
Galleria Embrice
Roma - Via delle Sette Chiese, 78
Tel. 06.64521396
www.embrice.com
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