È il 10 febbraio del 1886 quando a Roma, in via San Nicola da Tolentino 72, un manipolo di artisti inaugura un'esposizione indipendente delle proprie opere, staccandosi dall'annuale mostra degli Amatori e Cultori di Belle Arti.
Nasce così la società "In Arte Libertas", da quel momento destinata a esporre annualmente -a Roma e non solo- sino al 1903, ribadendo il diritto di «amare liberamente l'arte ciascuno a suo modo», così come recita il primo articolo dello Statuto.
La prima mostra vide coinvolti i pittori Vincenzo Cabianca e Onorato Carlandi, Alessandro Castelli e Enrico Coleman, Mario De Maria e Lemmo Rossi Scotti, Norberto Pazzini e Gaetano Vannicola, nonché i giovani Alessandro Morani e Alfredo Ricci, ai quali si deve la partecipazione dello stesso Nino Costa.
È infatti in quest'ultimo, reduce da un pellegrinaggio arti¬stico che dalla Firenze macchiaiola lo aveva condotto alla Parigi dei Salons e all'Inghil¬terra destinata a divenire sua seconda patria, che molti individuano la guida carismatica capace di rispondere al desiderio di confronto con le tendenze d'oltralpe, combattendo le mode del mercato e l'ingerenza accade¬mico-governativa. La convinzione è che, se il vero implica un'osservazione diretta del reale, la rivelazione della "Verità" necessita di contemplazione, di un "sentire" comune alla sfera musicale e poetica. Ma l'accusa mossa alla modernità è di aver dimenticato o rinnegato la voce dell'anima così come sapevano ascoltar¬la un Bellini o un Botticelli, cui bisogna ne¬cessariamente volgersi per ricordare, imparare di nuovo ad amare e, dunque, a essere liberi. Solo in tal modo la natura può realmente rivi¬vere nello spirito dell'artista, così come senza tensione, perché non corrotti dal tempo, riuscivano a percepirla gli artisti del passato.
Si tratta dello spirito della Scuola Etrusca, il movimento anglo-romano sorto attorno a Costa nell'inverno 1883-'84, di cui In "Arte Libertas" non fu che la naturale evoluzione nella temperie culturale della Città Eterna. Qui dove prendono piede le tendenze simbolico-estetizzanti promosse da Gabriele D'Annunzio e Angelo Conti, informanti a loro volta le inclinazioni della Società, che ai suoi stessi albori vede le fila dei propri artisti coinvolti nell'illustrazione dei versi dannunziani dell'Isaotta Guttadauro.
Ed è tra «aspirazioni audaci e sconforti infiniti», affidandoci alle parole di Conti, che "In Arte Libertas" attraversò il tramonto del secolo e salutò l'alba del nuovo, a volte dilatando i propri confini sino ad anticipare, sotto alcuni aspetti, il ruolo delle stesse Biennali di Venezia -ove la Società otterrà una sala nel 1899-, esponendo in via Nazionale opere di opere di artisti stranieri quali Edward Burne Jones e Dante Gabriel Rossetti.
Giulio Aristide Sartorio, socio a sua volta, rievocando le vicende di "In Arte Libertas" parlerà di non vane battaglie «intese a scuoter il torpore intellettuale romano».
Grandi nomi si affiancano ad artisti pressoché ignoti, allora come oggi, dove troppo spesso anche i grandi son caduti nell'oblio. Il comune denominatore era, parlando in termini costiani, stimolare, creare un ambiente di studio, mostrare delle ricerche fatte con "sincerità" e "amore".
Attraverso, dipinti, disegni e sculture -anche di artisti estremamente rari sul mercato, quali Vannicola, Pontecorvo, Formilli e la pressoché sconosciuta Attilia Marini-, la mostra vuole essere un omaggio a tali ricerche e riportare l'attenzione sull'azione di un movimento che ha segnato la cultura estetica a Roma negli ultimi due decenni del XIX secolo.
Lo studioso Federico De Mattia, che a "In Arte Libertas" ha dedicato un dottorato di ricerca, ha curato un importante volume a catalogo della mostra.
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