La mostra "Raffaello e l'antico nella Villa di Agostino Chigi", a cura di Alessandro Zuccari e Costanza Barbieri, mette in luce un aspetto cruciale del Rinascimento italiano finora non sufficientemente evidenziato: la svolta classica di Raffaello nel secondo decennio del Cinquecento è ben nota grazie a numerosi studi, ma poca attenzione è stata finora riservata all'influenza che l'importante collezione di statue, sarcofagi, cammei, rilievi, libri e monete antiche di Agostino Chigi ha avuto sull'Urbinate.
Chigi e Raffaello, scomparsi a soli cinque giorni di distanza nell'aprile del 1520, sono stati accomunati da una profonda intesa fondata sull'amicizia e sul lavoro: dopo i papi Giulio II e Leone X, il banchiere senese è stato il committente più assiduo e munifico del Sanzio.
Le "magnifiche raccolte" del ricco mecenate andarono disperse già dopo la sua morte, e poi con il Sacco di Roma fino alla vendita della villa ai Farnese nel 1579, andando a incrementare le grandi collezioni romane ed europee.
Grazie a importanti prestiti la mostra è l'occasione per riallestire, almeno in parte, le raccolte chigiane nel luogo d'origine e avere piena comprensione di quanto siano state fonte d'ispirazione per lo stile classico di Raffaello e della sua scuola, di Peruzzi, di Sebastiano del Piombo e del Sodoma, contribuendo allo sviluppo del pieno Rinascimento. Per la prima volta, dopo cinquecento anni, la "casa" di Agostino Chigi torna a essere quello "scrigno" capace di racchiudere in un luogo unico lo spirito di quel tempo, ricomponendo un dialogo tra "antico" e "moderno" che solo la percezione fisica può assicurare.
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