Guardare ed essere guardati. Contemplare ed essere contemplati. Ispirandosi al celebre romanzo di Thomas Mann e combinando tre diversi linguaggi – parola, danza e video – il pluripremiato autore e regista Liv Ferracchiati porta in scena LA MORTE A VENEZIA. Libera interpretazione di un dialogo tra sguardi, dal 5 al 9 febbraio al Teatro India, un incontro tra pensiero e corpo, scrittura e danza, realtà e immaginazione, per esplorare il rapporto tra morte e atto creativo nella nostra contemporaneità.
Non un adattamento teatrale de La morte a Venezia, ma un percorso scenico che rielabora l'idea di contemplazione al centro dell'opera, per un incontro deflagrante fra parola e danza orientato sullo sguardo. «Distaccandosi dal tema dell'omoerotismo e della differenza d'età, rimane l'incontro a Venezia tra Gustav Von Aschenbach e Tadzio, rimane la morte. Due sconosciuti che vivono ciò che Mann riassume così: "Nulla esiste di più singolare, di più scabroso, che il rapporto fra persone che si conoscano solo attraverso lo sguardo". «Una macchina fotografica su un treppiede al limitare delle onde e uno scrittore che muore su una spiaggia per aver mangiato delle fragole contaminate dal colera, simbolo dell'inesplorato che c'è in ognuno di noi – commenta Liv Ferracchiati – Il tentativo è di avvicinare i due personaggi a noi e, allo stesso tempo, di raccontare la fatica di scrivere e di come questa fatica, alla fine, sia squarciata da momenti rari, bellissimi e terribili, fatti di incontri con altri esseri umani. Ironicamente, terzo personaggio è la Parola, che prima cerca un'armonia in una forma cristallizzata e poi si libera, i concretizza, si accende, ritrova una sua forma estrosa, per quanto ridicola e vana di fronte all'irraccontabile».
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