La stagione 2022-2023 della Sala Umberto
FEDERICA CARRUBA TOSCANO | ALESSANDRO LUI
ENRICO SORTINO | JOELE ANASTASI | IVANO PICCIALLO
IMMACOLATA CONCEZIONE
da un'idea di Federica Carruba Toscano
drammaturgia e regia JOELE ANASTASI
uno spettacolo di Vucciria Teatro
produzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini
Vincitore di TEATRI DEL SACRO V
Immacolata Concezione è la storia di un microcosmo siciliano fatto di omertà, violenza e presunzione, ma anche di quell'autenticità tipica della carnalità isolana. I ruoli sociali si liquefanno tra le quattro pareti di una stanza, per poi solidificarsi ancora una volta, appena fuori da lì.
Sicilia, 1940. Concetta, ragazza silenziosa e innocente, viene barattata dal padre caduto in disgrazia con una capra gravida e affidata a Donna Anna, tenutaria del bordello del paese. Lei, estranea ai piaceri della carne e a qualunque "adulta" concezione della vita, non oppone nessuna resistenza. Del resto nessuno le ha mai spiegato cosa voglia dire fare l'amore, nonostante quella parola le piaccia già. Ben presto la fama "della nuova arrivata" raggiunge tutto il paese: ma nessuno sa di preciso quali piaceri regali agli uomini per farli impazzire così tanto. Malgrado tutti millantino di mirabolanti prestazioni, dentro la stanza del bordello, nessuno di loro l'ha mai toccata. Concetta è vergine. Ha il dono di "sentire" l'anima dei suoi clienti; rendendo possibile la loro fragilità nascosta.
Dona loro quello che nessuno sa dargli. Concetta è sicura! Crede che questo significhi fare l'amore: fare la barba o giocare a un due tre stella o offrire il petto per le lacrime del "signorotto" del paese. Non capisce perché il mestiere di prostituta susciti tanto scalpore in paese. Ma come e' possibile raggiungere un angolo di paradiso senza pretenderlo tutto? Ogni uomo vuole Concetta tutta per sé, come fosse un oggetto di inestimabile valore. Solo la memoria e il martirio la renderanno indelebile. Così Concetta potrà diventare santa: quando non apparterrà più neanche a se stessa ma solo alla collettività; quando la sua purezza si eleverà a coscienza; quando la sua potenza, abbandonando il corpo, si imprimerà nella memoria; quando il ricordo di lei, affidato ai tempi che verranno, continuerà a generare amore. Solo allora verrà il tempo di Immacolata Concezione.
NOTE DI REGIA
Immacolata Concezione racconta la potenza e il culto dell'immagine che, arrivando a disumanizzare un corpo vivente per trasformarlo in feticcio, è soggetto alla necessità d'instaurare una relazione fondata sui desideri inespressi del proprio inconscio.
Immacolata Concezione racconta quale terremoto possa generare l'incontro tra spiritualità e carnalità sul piano della collettività. Gli anni '40 rappresentano uno spartiacque essenziale nella storia dell'umanità. L'avvento della seconda guerra mondiale, con tutto quello che ha causato, ha rivelato come l'essere umano stesso sia stato brutalmente reificato e desacralizzato. Da quel momento storico la visione stessa dell'umanità, sia nelle relazioni tra gli uomini che nel rapporto con il potere, muterà profondamente e il concetto stesso di sacro cesserà di avere una corrispondenza nel piano del reale. IMMACOLATA CONCEZIONE, ambientato alla vigilia della guerra, racconta il punto di snodo di un sistema sociale in cui le relazioni vorrebbero ancora essere prodotte invece che brutalmente consumate. Sebbene raccontino un mondo in cui può esistere ancora futuro e speranza, contengono già il germe di quella deriva malata che troverà nel conflitto mondiale e nei regimi totalitari una possibilità d'espressione.
"Guardare attraverso i personaggi di Immacolata Concezione è come sfogliare le pagine di un vecchio diario e scoprire le oscillazioni più fragili delle loro anime; come avere accesso alla memoria collettiva e storica che abita in noi e genera le nostre più antiche passioni. Il tempo della storia è il passato che qui si fa molla per il futuro: per riscriverne uno nuovo. E noi, spettatori del mondo di oggi, ci aggrappiamo a qualche ultimo brandello di un passato carico di valori e speranza. Non c'è fiducia nel progresso. Non c'è fiducia nel tempo che verrà. E' solo guerra, minaccia di guerra, guerra senza frontiere e senza regole. E noi abbiamo solo bisogno di amore, amore e altro amore."
Joele Anastasi
4 – 16 ottobre 2022
GIAMPIERO INGRASSIA
e cast da definire
DOCTOR FAUST
e la ricerca dell'eterna giovinezza
Musiche originali di Stefano Reali
scritto e diretto da Stefano Reali
produzione Nicola Canonico per Good Mood
Wittemberg, Germania, 1580.
Johann Faust, è un brillante studioso e alchimista. Desideroso dell'eterna giovinezza, evoca il demone Mefistofele, che gli propone di farlo rimanere perennemente giovane e potente, per ventiquattro anni.
Dopodiché Lucifero si prenderà la sua anima. Attratto dalla fascinazione del Male, l'ambizioso Faust accetta, e con l'aiuto di Mefistofele viaggia nel futuro, per conquistare la fanciulla più pura del mondo, Margherita, e convertirla alla Lussuria. Ma la ragazza, pura e innocente, fa capire a Faust che potrebbe nascere un sentimento vero tra loro, che renderebbe nullo il patto con il Diavolo. Temendo di poterne ferire la purezza, Faust fugge via da lei, e chiede a Mefistofele di tornare indietro di duemila anni, per corteggiare la donna più malvagia di tutti i tempi, Elena di Troia.
Grazie al tragicomico aiuto di Mefistofele, che assomiglia sempre di più ad una specie di Leporello, Faust/Don Giovanni tenta di convincere Elena a fuggire via con lui, e a salvare la città di Troia dalla sua distruzione.
Ma la bellissima e malvagia Elena è meno seducente di quanto potesse aspettarsi Faust, che è stato colpito nel profondo dalla semplicità di Margherita.
Deciso più che mai a sfuggire ai Valori del Bene, Faust chiede a Mefistofele di poter viaggiare nel futuro, convinto del fatto che solo trattando con Lucifero in persona, potrà avere la vera Eterna Giovinezza. Faust arriva fino all'Italia del 2030, e si stupisce davanti ai Social Network, al Metaverso, e agli Influencer, in un mondo dove nessuno esiste "dal vivo". Anche Lucifero esiste solo sul proprio Avatar digitale.
Ma riappare Margherita. Innamorata di lui, è riuscita ad inseguirlo attraverso i secoli, grazie alle sue preghiere al Cielo. Faust è pazzo di felicità, ma ha l'amara sorpresa di scoprire che i suoi viaggi nel tempo hanno consumato rapidamente tutti i ventiquattro anni a sua disposizione.
Improvvisamente vecchio, e decrepito, Faust si è reso conto che la vera Eterna Giovinezza sta solo nell' Amore. Ma è davvero troppo tardi, per poterlo vivere con Margherita?
NOTE DELL'AUTORE
Tra "Il Fantasma dell'Opera", "A me gli occhi, please" e "Don Giovanni", il Doctor Faust è uno spettacolo musicale innovativo, dove Giampiero Ingrassia affronta la mattatoriale sfida di interpretare sia Faust che Mefistofele, e dà un'ulteriore conferma delle brillanti capacità sceniche che lo hanno reso un interprete amatissimo dal pubblico, in questo tragicomico e scatenato viaggio tra la farsa, la satira, e la commedia musicale.
L'Amore può trionfare contro tutte le mille seduzioni del Male?
18 - 30 ottobre 2022
ANDREA MIRÒ | ENRICO BALLARDINI
E MUSICA DA RISPOSTIGLIO
FAR FINTA DI ESSERE SANI
di Giorgio Gaber e Sandro Luporini
costumi Pamela Aicardi | luci Andrea Violato
adattamento e regia EMILIO RUSSO
produzione Viola Produzioni e TieffeTeatro Milano
in collaborazione con la Fondazione Giorgio Gaber
progetto sostenuto da NEXT – Laboratorio delle Idee
spettacolo vincitore del Premio Franco Enriquez 2022
Sono passati quasi 50 anni, sono tanti. Stupisce e rincuora il fatto che Gaber sia riuscito ad anticipare i tempi. A scrivere la storia prim'ancora che questa fosse presente: terribilmente d'attualità, del resto lui era capace di raccontare la realtà come pochi al mondo, ma – allo stesso tempo – di andare oltre. In Far finta di essere sani tutto questo è ancora più evidente seguendo il filo rosso di canzoni e monologhi dalla tematica certa e forte e ci piace molto l'idea e la possibilità di raccontarlo oggi.
L'ironia si fa più dominante e a volte anche un po' più aggressiva. Il tema che già trapelava negli spettacoli precedenti è quasi esclusivamente quello dell'"interezza".
Pare che l'uomo attraversi una fase un po' schizoide dove a volte il proprio corpo è assai distante da certi slanci ideali. L'analisi, anche se alleggerita dall'ironia, può sembrare pessimistica ma suggerisce la possibilità di abbracciare le più grosse realtà sociali partendo da se stessi.
Gaber/Luporini sottolineano una certa incapacità di far convergere gli ideali con il vivere quotidiano, il personale con il politico. Il "signor G" vive, nello stesso momento, la voglia di essere una cosa e l'impossibilità di esserla. É forte, molto forte lo slancio utopistico.
Chiedo scusa se parlo di Maria, non del senso di un discorso, quello che mi viene, non vorrei si trattasse di una cosa mia e nemmeno di un amore, non conviene.
1 – 13 novembre 2022
DANIELE RUSSO
E ALTRI 11 ATTORI
QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DEL CUCULO
di Dale Wasserman
dall'omonimo romanzo di Ken Kesey
traduzione Giovanni Lombardo Radice | adattamento Maurizio de Giovanni
scene Gianluca Amodio | costumi Chiara Aversano
disegno luci Marco Palmieri | musiche originali Pivio & Aldo De Scalzi
videografie Marco Schiavoni
uno spettacolo di ALESSANDRO GASSMANN
produzione Fondazione Teatro di Napoli | Teatro Biondo Palermo
Qualcuno volò sul nido del cuculo è il romanzo che Ken Kesey pubblicò nel 1962 dopo aver lavorato come volontario in un ospedale psichiatrico californiano; racconta, attraverso gli occhi di Randle McMurphy – uno sfacciato delinquente che si finge matto per sfuggire alla galera – la vita dei pazienti di manicomio statunitense e il trattamento coercitivo che viene loro riservato.
Nel 1971 Dale Wasserman ne realizzò, per Broadway, un adattamento scenico, che costituì la base della sceneggiatura dell'omonimo film di Miloš Forman, interpretato da Jack Nicholson ed entrato di diritto nella storia del cinema.
Oggi, la drammaturgia di Wasserman torna in scena, rielaborata dallo scrittore Maurizio de
Giovanni, che, senza tradirne la forza e la sostanza visionaria, l'ha avvicinata a noi, cronologicamente e geograficamente.
Randle McMurphy diventa Dario Danise e la sua storia e quella dei suoi compagni si trasferiscono nel 1982, nell'Ospedale psichiatrico di Aversa.
Alessandro Gassmann ha ideato un allestimento personalissimo, contemporaneo ed elegante, dirigendo un cast eccezionale, con a capo Daniele Russo.
Il risultato è uno spettacolo appassionato, commovente e divertente, imperdibile, per la sua estetica dirompente e per la sua forte carica emotiva e sociale.
NOTE DI REGIA
La malattia, la diversità, la coercizione, la privazione della libertà sono temi che da sempre mi coinvolgono e che amo portare in scena con i miei spettacoli. Temi tutti straordinariamente presenti nello spettacolo che mi accingo a mettere in scena, "Qualcuno volò sul nido del cuculo" di Dale Wasserman, tratto dall'omonimo romanzo di Ken Kesey, la cui versione cinematografica diretta da Miloš Forman è entrata di diritto nella storia del cinema.
Con Maurizio de Giovanni, che ha curato l'adattamento del testo, abbiamo deciso di ambientare la vicenda in una clinica psichiatrica italiana nel 1982. Tutto ha inizio con l'arrivo di un nuovo paziente che deve essere "studiato" per determinare se la sua malattia mentale sia reale o simulata. La sua spavalderia, la sua irriverenza e il suo spirito di ribellione verso le regole che disciplinano rigidamente la vita dei degenti, porterà scompiglio e disordine ma allo stesso tempo la sua travolgente carica di umanità contagerà gli altri pazienti e cercherà di risvegliare in loro il diritto di esprimere liberamente le loro emozioni e i loro desideri.
Dario (il mio McMurphy) è un ribelle anticonformista che comprende subito la condizione alla quale sono sottoposti i suoi compagni di ospedale, creature vulnerabili, passive e inerti. Da quel momento si renderà paladino di una battaglia nei confronti di un sistema repressivo, ingiusto, dannoso e crudele, affrontando così anche un suo percorso interiore che si concluderà tragicamente ma riscatterà una vita fino ad allora sregolata e inconcludente. E, attraverso di lui, i pazienti riusciranno ad individuare qualcosa che continua ad esser loro negato: la speranza di essere compresi, di poter assumere il controllo della propria vita, la speranza di essere liberi.
Un testo che è una lezione d'impegno civile, uno spietato atto di accusa contro i metodi di costrizione e imposizione adottati all'interno dei manicomi ma anche, e soprattutto, una straordinaria metafora sul rapporto tra individuo e Potere costituito, sui meccanismi repressivi della società, sul condizionamento dell'uomo da parte di altri uomini. Un grido di denuncia che scuote le coscienze e che fa riflettere.
Come sempre lavorerò sui complessi rapporti psicologici tra i vari personaggi, immergendoli in uno spazio scenico realistico e asettico.
In questo caso, le videografie, che spesso utilizzo nei miei spettacoli, mi permetteranno di tradurre in immagini i sogni e le allucinazioni dei cosiddetti "diversi".
L'obiettivo che mi pongo è, come sempre, quello di riuscire a far emozionare un pubblico di ogni età, soprattutto i più giovani che forse non conoscono quest'opera che è un vero e proprio inno alla libertà.
Alessandro Gassmann
15 novembre – 4 dicembre 2022
GIOVANNI ESPOSITO | VALERIO SANTORO | LUCIANO SALTARELLI
CHIARA BAFFI | FABRIZIO LA MARCA
A CHE SERVONO QUESTI QUATTRINI
di Armando Curcio
scene Luigi Ferrigno | costumi Ortensia De Francesco | luci Antonio Molinaro
regia di ANDREA RENZI
coproduzione La Pirandelliana e Teatro di Napoli–Teatro Nazionale
"A che servono questi quattrini" è una commedia di Armando Curcio messa in scena per la prima volta nel 1940 dalla compagnia dei De Filippo con grande successo di pubblico.
La vicenda ruota intorno al Marchese Parascandolo detto il Professore che per dimostrare le sue teorie socratiche, bizzarre e controcorrente, ordisce un piano comicamente paradossale che svela l'inutilità del possesso del denaro.
L'Italia di lì a poco sarebbe entrata nel conflitto della II Guerra Mondiale e il mondo post-capitalistico dell'alta finanza era di là da venire ma l'argomento, così esplicitamente indicato nel titolo, stuzzicò la curiosità del pubblico di allora tanto che, pochi anni dopo, nel 1942, la commedia venne trasposta sugli schermi cinematografici per la regia di Esodo Pratelli con Eduardo e Peppino De Filippo protagonisti e con, tra gli altri, Clelia Matania e Paolo Stoppa.
Il protagonista immaginato da Amando Curcio, a metà strada tra un filosofo stoico e un astuto truffatore, non voleva, né poteva, mirare al bersaglio della Grande Economia ma certo l'ordito della sua trama e delle sue paradossali speculazioni sollecitano anche in noi uno sguardo disincantato (e saggio) sugli inganni della categoria dell'ECONOMICO, che tutto, oggi, pervade. Il Marchese offre tutto il suo appoggio, dando il suo sostegno speculativo, a Vincenzino, ricco solo del suo entusiasmo e della sua ingenuità, e lo aiuta a capovolgere il suo destino di ultimo accompagnandolo in una rapidissima ascesa sociale.
Una favola? Un sogno ad occhi aperti? Può darsi.
Ma i temi dell'inutilità del denaro e della dannosità del lavoro, benché calati nella realtà di due famiglie napoletane degli anni '40, una poverissima l'altra in apparenza arricchita, riescono, sul filo del paradosso, a incuriosirci ad aprirci nella fantasia strade alternative e a divertirci.
Bolle finanziarie, truffe internazionali, fallimenti di colossi bancari, tassi di interesse sproporzionati, spread e fiducia nei mercati sono "slogan" e ridondanti informazioni ampliamente invasive cui ci siamo abituati e che, per la maggior parte di noi, indicano situazioni fumose e di oscura interpretazione. E forse proprio spingendo sul parossismo del gioco teatrale, mostrato a vista, e sull'assurda fiducia della variegata comunità coinvolta nel piano del Marchese Parascandolo, si può, con la scanzonata e creativa adesione degli attori e in un clima popolare e festoso, relativizzare il potere dei "quattrini", valore-totem indiscusso, che tutto muove oggi come allora.
6 – 30 dicembre 2022
FRANCESCA INAUDI | GIOVANNI SCIFONI
BEGINNING
L'amore che non ti aspetti
di David Eldridge
regia SIMONE TONI
produzione OTI – Officine del Teatro italiano
Come ci si innamora nel nostro tempo? Amore riesce ancora a scagliare le sue frecce o il cuore, ai nostri giorni, è sempre protetto da uno smartphone che gli fa da scudo, custode di tutto il nostro essere? Eros per i greci era un Dio che aveva le sembianze di un giovane nudo e scalzo che dormiva per strada. Secondo Platone era figlio di Penia (povertà) e Poros (strada). A volerci dire che Amore è una via per uscire dalla povertà, materiale e dell'anima. Perché anche l'individuo più misero quando s'innamora diventa ricco non ha bisogno di altro. Ma soprattutto per abbandonarsi all'amore bisogna essere folli, aver voglia di mettersi in contatto con la propria follia e dimenticare se stessi, dimenticare tutto ciò che si ha e tutto ciò che siamo diventati per piacere agli altri.
Oggi abbandonare tutto questo costa molto perché la società ci impone di essere ciò che abbiamo e di apparire sempre felici e autosufficienti. Se un essere umano è veramente autosufficiente, anche nei sentimenti, difficilmente potrà innamorarsi, rinunciando così a una delle poche felicità possibili in questa vita.
Ma Eros è un Dio troppo forte per abbattersi e rinunciare a scagliare le sue frecce.
Nella nostra storia Daniele è stato colpito a sua insaputa proprio mentre stava per lasciare, per ultimo, la festa con cui Laura ha inaugurato il suo nuovo appartamento in un quartiere esclusivo di una grande città.
Sono le prime ore del mattino o le ultime della giornata, fate un po' voi. Fatto sta che si accorge di essere l'ultimo ospite e che Laura l'ha scelto. La freccia di Eros ha lasciato una evidente macchia di salsa di pomodoro sulla camicia di Daniele ma lui non se ne cura e questo lo rende molto simpatico.
Laura è una donna in carriera indipendente e benestante, vuole un figlio perché sente che il tempo passa e la sua indipendenza comincia fare a pugni con la sua solitudine. Ma è disposta anche ad allevarlo da sola il piccolo o la piccola. Daniele è quello giusto ha una faccia da bravo ragazzo. Nel momento in cui Daniele realizza le intenzioni di Laura comincia uno spettacolo esilarante e struggente, in tempo reale, il tempo che servirà a Daniele e Laura per decidere se avere un rapporto sessuale o se fare l'amore.
Per fare sesso basta togliersi i vestiti e, più o meno meccanicamente soddisfare un impulso fisico. Per fare l'amore bisogna spogliarsi ben di più, fino in fondo, andare a cercare l'anima fin dove si è nascosta e con un atto di estrema follia avere il coraggio di riporla nell'altro.
Che fine faranno i nostri due eroi David Eldrige non ce lo svela, lo lascia immaginare a ognuno di noi. L'autore vuole raccontarci esattamente del coraggio che ci vuole per incominciare una storia d'amore nei nostri tempi incasinati e della fragile bellezza che ognuno di noi nasconde dietro la maschera e che in una notte qualsiasi qualcuno arriva e sa cogliere e accogliere.
Simone Toni
3 - 15 gennaio 2023
PEPPE BARRA
LA CANTATA DEI PASTORI
nuovissima edizione
con LALLA ESPOSITO
musiche Giorgio Mellone | scene Carlo De Marino
costumi Annalisa Giacci | disegno luci Francesco Adinolfi
regia di LAMBERTO LAMBERTINI
produzione Ag Spettacoli e Tradizione e Turismo
"A Messa, o a Teatro!" Questo dilemma, al termine della cena della Vigilia, negli anni passati,
metteva in crisi il popolo napoletano. Messa di mezzanotte o "La Cantata dei Pastori", sempre a mezzanotte, ma a teatro?
Peppe Barra è riuscito a mantenere questo appuntamento rituale, questa rappresentazione popolare, per più di quaranta anni. Prima con Roberto De Simone, che l'aveva riscritta come spettacolo della Tradizione musicale Campana, poi con la madre Concetta Barra e Lamberto Lambertini, nei teatri d'Italia e d'Europa, infine da solo per tutti gli anni seguenti.
Uno spettacolo che, pur attenendo al poema religioso, al dramma pastorale e alla commedia dell'arte, il popolino aveva trasformato, nel corso del settecento, dell'ottocento e del novecento, in un gustoso e glorioso pasticcio di sentimento religioso e di teatro comico.
Peppe Barra, di nuovo insieme con Lamberto Lambertini, la ripropone quest'anno in una nuovissima edizione, per offrire all'affezionatissimo pubblico sorprese continue, colpi di scena imprevisti, risate irrefrenabili e lacrime di commozione, come quando il papà o la nonna decidevano a mezzanotte di optare per il Teatro, portando noi bambini, senza più sonno, ad attendere, tremanti d'eccitazione e anche di paura, che l'enorme sipario si aprisse.
Peppe indosserà l'amata maschera di Razzullo, pulcinellesco scrivano, mentre i panni di Sarchiapone li indosserà Lalla Esposito, ricomponendo così la coppia teatrale che ha riscosso tanto successo nella scorsa stagione, per reinventare le buffe vicissitudini dei due poveracci napoletani catapultati in Palestina, dalla fame il primo, dai suoi crimini il secondo, proprio nei giorni dello scontro titanico tra gli Angeli e i Demoni, mentre Maria e Giuseppe cercano un riparo per la nascita del Figlio di Dio. Questo spettacolo, oltre alla regia di Lamberto Lambertini, conserva la squadra vincente dell'ultima produzione: musiche Giorgio Mellone, scene Carlo De Marino, costumi Annalisa Giacci, disegno luci Francesco Adinolfi.
17 - 29 gennaio 2023
OBLIVION
GRAZIANA BORCIANI | DAVIDE CALABRESE| FRANCESCA FOLLONI
LORENZO SCUDA | FABIO VAGNARELLI
OBLIVION RHAPSODY
uno spettacolo di Oblivion
scene Lorenza Gioberti | costumi Elisabetta Menziani
luci Aldo Mantovani
regia GIORGIO GALLIONE
produzione Agidi
Uno show per festeggiare l'anniversario dei primi dieci anni di tournée insieme: Oblivion Rhapsody è la summa dell'universo Oblivion come non l'avete mai visto né sentito prima d'ora. In piena crisi di mezza età i cinque rigorosi cialtroni sfidano sé stessi con un'inedita e sorprendente versione acustica della loro opera omnia. Uno spettacolo che toglie tutti i paracadute per arrivare all'essenza dell'idiozia: cinque voci, una chitarra, un cazzotto e miliardi di parole, suoni e note scomposti e ricomposti a prendere nuova vita.
Per la prima volta gli Oblivion saliranno sul palco nudi e crudi per distruggere e reinventare le loro hit, dopo aver sconvolto senza pietà quelle degli altri.
Oblivion Rhapsody è un gigantesco bigino delle performance più amate e imitate che parte dalle famose parodie dei classici della letteratura, passando per la dissacrazione della musica a colpi di risate, un viaggio lisergico che ripercorre anni di raffinate e folli sperimentazioni, senza soluzione di continuità, in lungo e in largo, di palo in frasca.
Tutto il meglio (e il peggio), quello che non ricordavate, quello che amate di più e quello che non avete mai visto, in un viaggio allucinato e visionario che collega mondi mai avvicinati prima d'ora.
Preparatevi a questa incredibile esperienza dal vivo: sarà un anniversario memorabile, un'indigestione senza limiti e senza senso, una Oblivionata all'ennesima potenza alla fine della quale l'unico bis che chiederete sarà una Citrosodina.
GLI OBLIVION
Gli Oblivion sono i cinque sensi della satira musicale, i cinque continenti della parodia, i cinque gradi di separazione fra i Queen e Gianni Morandi. Li hanno definiti "atomizzatori di repertori musicali, pusher di pillole caricaturali" ma anche "meravigliosamente superflui, come le Piramidi". Gli Oblivion giocano con la musica e il teatro. Sono uno Spotify vivente che mastica le note e le digerisce in diretta in modi mai sentiti prima. Un OGM che spazia tra genio e follia, giocoleria e cabaret, intrattenimento leggero e profonda demenzialità.
Assistere ai loro show è un'esperienza folle e irripetibile che provoca risate scomposte, isteria collettiva, ma soprattutto interminabili richieste di bis.
NOTE DI REGIA
Gioco, paradosso, ironia, sorriso: questo è il Comico che vedo negli Oblivion. Il tutto sorretto e condito da un talento continuamente messo in discussione e da una professionalità feroce. Rivolta soprattutto "contro" sé stessi. Tutto è libero e volatile nel loro teatro, ma nulla è affidato al caso. C'è costantemente una architettura ferrea che sostiene i loro castelli di carta. Così, sempre, quello che può sembrare solo uno scherzo diventa nella realtà della scena non tanto un ingrediente digestivo o ciecamente spensierato, ma un linguaggio polifonico, meticcio, contaminato.
Prezioso come una filigrana lucente ma usato come strumento del pensiero divergente, del mondo alla rovescia. Una costruzione variegata e complessa di parole e musica che gode della gioia della lingua e del pensiero, ma che si trasforma presto in sberleffo liberatorio, sovversione del senso comune, ludica e ragionata aggressione alla noia.
Riguardandoli ripenso sempre ai "valori" che Calvino suggerisce come fondamentali nelle sue Lezioni Americane: leggerezza, rapidità, esattezza, molteplicità, visibilità. E tanto serio divertimento. Perché senza gioia le parole, e le musiche, hanno i piedi di piombo.
Giorgio Gallione
NOTE MUSICALI
"Stavolta facciamo tutto solo con una chitarra. E un cajon. E tre cembali. E due shaker. Prendi un campanaccio già che ci sei. Io da piccola suonavo il flauto traverso. Io durante il lockdown ho studiato ukulele. Ti ricordi quel sax di plastica che abbiamo comprato a Venice Beach?". È un attimo che la cosa ti sfugge di mano e finisce che metti su un'orchestra low cost.
Oblivion Rhapsody è l'apoteosi della degenerazione musicale. La nostra storia musicale sbattuta, percossa e ridotta all'essenza. Senza trucco. Alla vecchia. Rock and roll. Acustico.
Parecchio Acustico, data l'età.
31 gennaio – 12 febbraio 2023
MADDALENA CRIPPA | ALESSANDRO AVERONE | GIANLUIGI FOGACCI
FERNANDO MARAGHINI | ALESSANDRO SANPAOLI | EMILIA SCATIGNO
IL COMPLEANNO
(The birthday party)
di Harold Pinter
scene Ferdinand Woegerbauer | costumi Anna Maria Heinreich
regia PETER STEIN
produzione Viola Produzioni | Tieffeteatro Milano
ll Compleanno è stato messo in scena per la prima volta il 28 aprile 1958 all'Arts Theatre di Cambridge diretta da Peter Wood; è una delle pièce più? apprezzate e rappresentate di Harold Pinter, che la scrisse a soli 27 anni, influenzato dal teatro dell'assurdo di Samuel Beckett e dalla lettura del Processo di Franz Kafka, di cui lo stesso Pinter realizzo nel 1993 una sceneggiatura cinematografica.
La vicenda di Compleanno parte da una situazione apparentemente innocua per poi sfociare nell'inverosimile per via dei suoi personaggi. Individui paurosi, isolati dal mondo in uno spazio ristretto, infelici ma al sicuro. Fintantoché? non arriva qualcosa o qualcuno, a scuotere il loro pertugio e a rappresentare una minaccia.
Un teatro che mette in scena individui soffocati dalla repressione, spesso neanche consapevoli della loro condizione, anzi convinti di essere in effetti uomini totalmente liberi.
Peter Stein riprende, dopo la sua fortunata edizione di Ritorno a casa, il suo personale viaggio nella straordinaria drammaturgia pinteriana e lo fa con un testo giovanile del grande autore inglese e con una cosiddetta "commedia della minaccia", ovvero una commedia dall'inizio apparentemente normale che evolve in situazioni assurde, ostili o minacciose. In scena alcuni dei suoi attori più? "fedeli" come Maddalena Crippa, Alessandro Averone e Gianluigi Fogacci.
"63 anni che sono passati dalla creazione del Compleanno di Harold Pinter non hanno tolto niente del suo effetto enigmatico ed inquietante. Un tipo perdente con un passato non molto chiaro è raggiunto da questo passato, messo sotto terrore e con forza cambiato in un uomo che segue rigorosamente le regole ferree della vita quotidiana.
L'atmosfera di una minaccia continua non smette mai – come nella vita di tutti noi – di dominare qualsiasi azione, La domanda: chi siamo noi? Alla quale non possiamo mai rispondere perché? una falsa o oscura memoria si mischia con la nostra voglia di metterci in scena, sta al centro di questo compleanno d'orrore."
Peter Stein
14 - 26 febbraio 2023
ENZO IACCHETTI | VITTORIA BELVEDERE
BLOCCATI DALLA NEVE
traduzione e adattamento Enrico Maria Lamanna e Marioletta Bideri
scene Fabiana di Marco | Costumi Teresa Acone
musiche originali Adriano Pennino | Disegno luci Marco Macrin
regia di ENRICO MARIA LAMANNA
una produzione Marioletta Bideri per Bis Tremila
Patrick è un uomo di mezza età che vive solitario in un cottage di campagna. Patrick ama stare da solo, negli anni ha sviluppato una sorta di misantropia. Ma un giorno, durante una violentissima tempesta di neve, la sua pace viene turbata. È l'incontro con il destino. Stanno bussando alla porta. È Judith, una donna che nel villaggio vicino. È interamente coperta di neve, sui capelli sino formati addirittura dei ghiaccioli. Ha bussato alla porta di Patrick chiedendo pane e uova.
Patrick, indispettito, la accontenta. Spera che Judith se ne vada presto. Purtroppo per lui le cose si complicano. La tempesta di neve diventa ancora più violenta e un comunicato della polizia intima a tutti gli abitanti dei dintorni di non uscire all'aperto e di barricarsi in casa. Patrick e Judith sono costretti a dover convivere in quella quarantena forzata.
Due caratteri forti messi costantemente a confronto, ventiquattro ore su ventiquattro. Lo scontro è inevitabile. Seguono giorni di litigi continui, ma anche di risate e di momenti di pura follia.
Riusciranno Patrick e Judith a trovare dei punti in comune, nonostante appartengano a mondi completamente diversi?
Diventeranno amici, nonostante tutto, anche dopo la fine della tempesta di neve?
Snowbound è una commedia brillante che ha come tema la convivenza tra persone diverse, e per carattere e per il modo di concepire il mondo e la vita, in una situazione al limite, di estrema necessità.
Lo spettacolo è stato scritto durante il primo lockdown del 2020 da Peter Quilter, autore delle commedie di successo "Glorious!" e "End of the Rainbow". Quest'ultimo testo è stato adattato per il film "Judy" (2019), premiato agli Oscar.
Enrico Maria Lamanna
28 febbraio – 5 marzo 2023
DANILO NIGRELLI | IRENE IVALDI
FESTEN
Il gioco della verita'
di Thomas Vinterberg, Mogens Rukov & BO Hr. Hansen
adattamento per il teatro di David Eldridge
traduzione e adattamento di Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi
con (in ordine alfabetico)
ROBERTA CALIA | YURI D'AGOSTINO | ELIO D'ALESSANDRO | ROBERTA LANAVE
BARBARA MAZZI | RAFFAELE MUSELLA | ANGELO TRONCA
assistente alla regia Noemi Grasso | dramaturg Anne Hirth
visual concept e video Eleonora Diana | costumi Alessio Rosati
sound designer Giorgio Tedesco | luci Link-Boy (Eleonora Diana & Giorgio Tedesco)
consulente musicale e vocal coach Bruno De Franceschi
regia MARCO LORENZI
produzione Elsinor TPE – Teatro Piemonte Europa
Elsinor Centro di Produzione Teatrale | Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
Solares Fondazione delle Arti
in collaborazione con Il mulino di Amleto
Dir la verità è un atto d'amore
Fatto per la nostra rabbia che muore
Afterhours, Il paese è reale.
"Sarà uno shock"
Christian, al telefono, all'inizio del film Festen
NOTE DI REGIA
Festen è un abisso.
Anzi, mi torna in mente una battuta incredibile del Woyzeck di G. Büchner «Ogni uomo è un abisso, a ciascuno gira la testa se ci guarda dentro». Ecco, Festen mi fa questo effetto.
Quando ho iniziato a lavorare alla trasposizione teatrale del film cult di Thomas Vinterberg, ero affascinato dalla potenza delle dinamiche familiari e dall'impertinenza linguistica e formale con cui Vinterberg, Lars Von Trier e il Dogma 95 avevano rivoluzionato il cinema che li circondava. Ancora non sapevo l'abisso che mi aspettava...
Festen ci chiama in causa, ci sposta dall'indifferenza in cui pericolosamente rischiamo di scivolare ogni giorno di più, soprattutto in un tempo costellato da paure e incertezze come il nostro, un tempo di divertissement e entertainment mentre intorno a noi tutto si sgretola, un tempo in cui è facile voltare lo sguardo per continuare a dirci che "Dopo questo piccolo – come potremmo definirlo – intermezzo, possiamo riprendere i nostri posti per proseguire la festa".
Festen apparentemente sembra raccontare una festa di famiglia per celebrare i 60 anni del patriarca, ma in verità ha a che vedere con il nostro rapporto con la verità, con il potere e con l'ordine costituito. Sono sempre più sicuro che il nostro Festen sia una comunità di esseri umani che recitano una commedia mentre uno di loro combatte come un pazzo per mostrare che in realtà sono tutti in una tragedia. Per questo Festen è radicalmente politico.
Sento che in questa tensione tra due forze, così opposte e profonde, ci sia la forza del nostro spettacolo. La forza che ci porterà a mostrare quanto sia necessario strappare quel velo, quel diaframma che ci impedisce di vedere realmente le cose come stanno. Mi sembra molto toccante attraverso Festen poter chiedere al pubblico: "Perché non abbiamo la forza di vedere le cose come stanno? Perché accettiamo tutta questa finzione? Quanto coraggio richiede la verità?". Certo, sono domande grandissime e non saremo noi a dare le risposte. Ma penso che l'onestà e il gioco profondo del nostro spettacolo stiano nel condividerle con gli spettatori, con tutte le paure, le fragilità, la tenerezza e l'ironia che le accompagnano.
Ma Festen ci ha fornito anche un incredibile materiale di ricerca e di sperimentazione del linguaggio. Ci siamo spinti verso un radicale uso drammaturgico della cinepresa per sfruttare la possibilità di costruire costantemente un doppio piano di realtà che riconsegnasse allo sguardo degli spettatori la condizione di scegliere tra quello che viene costruito sul palcoscenico e la "manipolazione" che l'occhio della cinepresa rielabora in diretta e che viene proiettato. Con un gigantesco piano-sequenza che lungo tutto lo spettacolo verrà girato dagli stessi attori e proiettato davanti allo sguardo della platea, cerchiamo di amplificare, ironizzare, dissacrare e approfondire il senso delle domande di
Festen. Quale è la verità? Cosa scegliamo di guardare? A cosa scegliamo di credere? Tutto questo fino a quando il sottile velo che divide la verità dalla sua immagine non cadrà, non scomparirà una volta per tutte, lasciando spazio al silenzio, al vuoto, alla meraviglia della presenza degli attori che hanno reso possibile questa "follia"; alla meraviglia dei loro corpi, alle loro vibrazioni più sottili e alle loro emozioni, alla realtà insostituibile della loro sincerità…
Marco Lorenzi
Coerente con il percorso artistico de Il Mulino di Amleto e sostenuto dall'impegno produttivo di TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Solares Fondazione delle Arti, Festen rappresenta una grande sfida con un testo che in Europa è considerato ormai un classico e che in Italia viene messo in scena per la prima volta. Festen - sceneggiatura del film danese diretto nel 1998 da Thomas Vinterberg (appena insignito del Premio Oscar) è la prima opera aderente al manifesto Dogma 95, vincitore del Gran Premio della Giuria al 51º Festival di Cannes (all'epoca presieduta da Martin Scorsese).
Festen racconta di una grande famiglia dell'alta borghesia danese "i Klingenfeld" che si riunisce per festeggiare il sessantesimo compleanno del patriarca Helge. Alla festa sono presenti anche i tre figli: Christian, Michael e Helene. Il momento di svolta sarà il discorso di auguri del figlio maggiore Christian che una volta pronunciato cambierà per sempre gli equilibri della famiglia…
L'opera scava all'interno dei tabù più scomodi, affrontando la nostra relazione con la figura paterna, la verità, il rapporto con il potere e l'autorità imposta. Impossibile non pensare ad Amleto, alla tragedia greca, ma anche all'universo favolistico dei Fratelli Grimm. Chi potrebbe mai tentare di rovesciare il mondo dei nostri padri?
7 – 12 marzo 2023
GIOELE DIX
LA CORSA DIETRO IL VENTO
Dino Buzzati o l'incanto del mondo
e con VALENTINA CARDINALI
scene Angelo Lodi | musiche Savino Cesario
costumi Marina Malavasi e Gentucca Bini | disegno luci Carlo Signorini
drammaturgia e regia GIOELE DIX
produzione Centro Teatrale Bresciano in collaborazione con Giovit
distribuzione Retropalco srl
Sotto il palazzo in cui abita un grande scrittore, piove dall'alto nel cuore della notte una pallottola di carta. Che cosa conterrà? Appunti senza importanza o versi indimenticabili da salvare? Da questo affascinante spunto, tratto da un racconto di Dino Buzzati, prende il via il nuovo spettacolo scritto e interpretato da Gioele Dix La corsa dietro il vento.
Ambientato in una sorta di laboratorio letterario, a metà fra una tipografia e un magazzino della memoria, lo spettacolo attinge dal ricchissimo forziere di racconti del grande scrittore bellunese – tra cui le celebri raccolte Sessanta racconti, Il colombre e In quel preciso momento – e compone un mosaico di personaggi e vicende umane dove ognuno di noi può ritrovare tracce di sé.
Dino Buzzati è stato scrittore, giornalista, pittore, talento multiforme, ma soprattutto un fine scrutatore d'anime. E la sua scrittura, insieme realistica e fantastica, corre sempre fulminea al punto, pur non trascurando l'eterna sospensione che caratterizza le nostre esistenze. E grazie al suo talento narrativo, assumono forma poetica paure, sogni e fantasie a noi più che familiari.
La corsa dietro il vento è un inedito viaggio teatrale grazie al quale Gioele Dix, ispirandosi a personaggi e atmosfere buzzatiane, parla (anche) di sé, dei suoi gusti, delle sue inquietudini, delle sue comiche insofferenze con l'ironia e il gusto del paradosso cui ha abituato il suo pubblico, condividendo il palcoscenico con Valentina Cardinali, giovane attrice talentuosa ed eclettica.
Ho cominciato a leggere i racconti di Dino Buzzati all'età di dodici anni. Sono diventati parte del mio immaginario. La sua voce assomiglia spesso alla mia. Lo considero l'inventore di racconti perfetti, che non solo ti avvincono – perché vuoi sapere come vanno a finire – ma ti lasciano sempre un segno dentro, ineffabile però familiare.
Gioele Dix
14 - 19 marzo 2023
COCHI PONZONI | MATTEO TARANTO
LE FERITE DEL VENTO
di Juan Carlos Rubio
scene Alessandro Chiti | costumi Carla Ricotti
musiche Paolo Coletta | luci Michele Lavagna
regia ALESSIO PIZZECH
produzione Società per attori, Teatro Civico La Spezia
Il giovane Davide, alla morte del padre Raffaele si ritrova a dover sistemare le sue cose. Nel perfetto ordine degli oggetti lasciati dal genitore, uno scrigno chiuso ermeticamente attira la sua attenzione. Dopo aver forzato la serratura, per la quale sembra non esistere nessuna chiave, al suo interno scopre una fitta corrispondenza ingiallita dal tempo. La lettura di quei fogli, ricevuti e gelosamente conservati dal padre, lo porta a conoscenza di un segreto che mai avrebbe potuto immaginare: Raffaele aveva una relazione con Giovanni, il misterioso mittente di quelle lettere appassionate.
Chi è questo sconosciuto che improvvisamente emerge dalle ombre della memoria? Dopo un primo momento di sconcerto, Davide decide di affrontarlo.
Giovanni, impegnato in un dialogo con un gatto immaginario, amico fedele sul quale proietta il suo mondo familiare disgregatosi dopo la morte di Raffaele, si trova improvvisamente di fronte Davide.
Nel corso di tre intensi confronti che generano un flusso di parole di una potenza deflagrante, si fronteggiano Giovanni, ironico e divertente, capace di strappare un sorriso anche di fronte al dolore della perdita, e Davide, irruento e orgoglioso, che ci rende partecipi della sua legittima smania di sapere. Ne scaturisce un acceso duello teatrale dal quale emergono i tratti di un uomo che Davide stenta sempre più a riconoscere come suo padre.
Carlos Rubio ci introduce nel labirinto del legame profondo, misterioso, senza limiti di spazio e tempo, che si è instaurato da anni tra Giovanni e Raffaele, all'insaputa della famiglia di quest'ultimo.
Giovanni diventa per Davide compagno di lutto, amico, confidente; assume tutte le sembianze che il giovane istintivamente gli riconosce. La storia presente e passata si fa man mano che procede, più appassionante, ogni battuta svela nuovi elementi che sorprendono e commuovono, costringendo lo spettatore a indossare ora i panni di Giovanni ora quelli di Davide.
Al centro domina la presenza-assenza di Raffaele, che non corrisponde a nessuna delle immagini di uomo e padre che egli ha dato di sé in vita. Le lettere appassionate di Giovanni che hanno tenuto le fila di quella relazione, tornano infine ad essere protagoniste quando lo stesso Giovanni mostra a Davide le risposte che Raffaele gli inviava…
NOTE DI REGIA
Un racconto intenso, fatto di emozioni che narrano la bellezza e lo stupore di quando, fuggendo dagli stereotipi, viene rimesso in gioco il significato delle parole padre e figlio. Preziosi oggetti di scena, sospesi nel buio e illuminati da tagli di luce, disegnano lo spazio dove viene raccontata la storia di due uomini che, attraverso un serrato dialogo tra loro, con sè stessi e con il pubblico, svelano quanto illusoria sia la convinzione di conoscere le persone care, quanto in realtà si sia estranei al loro universo interiore e quanto sia necessario sospendere il giudizio quando si parla di "amore".
I due protagonisti passando da una luce all'altra, da un punto all'altro della scena avvolti da un'atmosfera sonora che si colora di volta in volta delle suggestioni di un parco o dei rumori di un interno, portano con loro un racconto di vita nel quale l'umanità dei personaggi pervaderà quella degli interpreti.
"Le Ferite del vento" riporta in superficie temi archetipici e ce li restituisce con un linguaggio vicino alla quotidianità ma capace di svelare la poesia delle piccole cose, quella in cui ogni gesto e ogni sguardo rivela una melodia dell'anima che affascina e restituisce allo spettatore l'originaria forza del teatro.
Alessio Pizzech
21 marzo – 6 aprile 2023
MILVIA MARIGLIANO | DALILAS REAS | ELEONORA GIOVANARDI
TANO MONGELLI | ROSARIO LISMA | GIOVANNI FRANZONI
IL GIARDINO DEI CILIEGI
di Anton Cechov
scene Dario Gessati | costumi Valeria Donata Bettella | luci Luigi Biondi
regia di ROSARIO LISMA
produzione Viola Produzioni - TieffeTeatro Milano - Teatro Stabile di Genova
Il Giardino dei Ciliegi è l'ultimo lavoro di un Cechov malato e vicino alla morte; eppure, mai così attaccato alla vita, intesa come respiro, anima del mondo e speranza nel futuro.
Nella sua ultima commedia – perché così egli la definì e la intese – egli esprime ancora più lucidamente la sua riflessione sulla goffa incapacità di vivere degli esseri umani. Il loro trabismo esistenziale sulla propria anima.
Ljuba e suo fratello Gaev, un tempo lieti, da bambini, tornano nell'età matura nel luogo simbolo della loro felicità appassita. La stanza chiamata ancora "dei bambini". Da cui si intravede il loro giardino dei ciliegi, un tempo motivo di vanto e orgoglio in tutto il distretto.
Ora però i tempi sono cambiati. I ciliegi non producono più frutti commerciabili, sono solo l'ombra di un passato che non tornerà più. Così le speranze, la gioia, l'amore, tutto ciò che era legato simbolicamente al giardino è andato perduto. Il declino economico accende brutalmente il declino della loro esistenza a cui non sanno (o non vogliono) porre rimedio.
Ljuba, donna di forti sentimenti e capace di amore, ormai ha perduto il marito e l'ultimo amante. Da anni è segnata dalla perdita del suo amato figlio piccolo. Eppure, sopraffatta dai debiti, non si rassegna ad abbandonare il sogno: la nostalgia del suo luminoso passato dove risiede illusoriamente la sua armonia. Bimba illusa nel corpo di una donna matura. Che piange e ride allo stesso tempo.
Così il fratello Gaev, adulto mai cresciuto da una condizione puerile fatta di giochi e lazzi spenti. Chiamato per una volta alla sua responsabilità di uomo di casa nella vendita all'asta del giardino, non riesce a combinare nulla. Debole e ingenuo. Struggente nel Lopachin, invece, nuovo arricchito, figlio del contadino, riuscirà a imporre la propria persona non solo con l'abilità degli affari, ma soprattutto con la lucidità inesorabile di chi è consapevole del proprio ruolo. Garbato ma ambizioso, è il contraltare perfetto dei due proprietari. Rampante e pragmatico. Vincente. Eppure, al contrario di Ljuba e Gaev, totalmente incapace di amare, di gestire la propria sensibilità. Tutt'altro che arido, ma ancora peggio: inabile ai sentimenti.
Resta eppure una ultima speranza. I giovani che popolano la storia sapranno forse riscattare le incrostazioni dell'anima di chi li ha preceduti.
Varja, figlia maggiore di Ljuba, fioca luce di armonia in una casa prossima al buio, delusa dall'insipienza amorosa di Lopachin, andrà a rifarsi una vita altrove.
Anja, la piccola di casa, dolce ragazza in fiore, seguirà Trofimov, eterno studente scombinato, ma insieme potranno guardare al futuro!
Il barlume di salvezza risiede nel finale, nei due ragazzi che si amano e che vedono nella distruzione del giardino venduto, non la fine, non la deriva, ma l'inizio di una nuova vita.
Nella riduzione della commedia si eliminano i personaggi minori portando la compagnia ai sei elementi principali: LJUBOV' ANDREEVNA RANEVSKAJA, proprietaria terriera; ANJA, sua figlia, diciassette anni; VARJA, sua figlia adottiva, ventiquattro anni; LEONID ANDREEVIC GAEV, fratello della Ranevskaja, ERMOLAJ ALEKSEEVIC LOPACHIN, mercante; PETR SERGEEVIC TROFIMOV, studente.
I dialoghi saranno rispettosi del testo originale, rispettando le sfumature poetiche dell'autore, ma tradotti in modo efficace e contemporaneo
suo fallimento definitivo.
NOTE DI REGIA
Un grande spazio chiaro, con una forte presenza illuminotecnica contemporanea, con pochi elementi scenici richiamanti la "stanza dei bambini", oggetti volutamente sproporzionati rispetto alla statura dei personaggi, come se fossero ancora piccoli rispetto all'ambiente, mai cresciuti: un tavolo colorato, una sediolina dell'infanzia, una grande bambola…
E soprattutto: il grande armadio centrale sullo sfondo a cui Gaev, come da testo, canta le lodi come a un monumento. Testimone del tempo felice che fu. Imponente e simbolico come un dolmen sbiadito. Sempre chiuso per tutto il tempo dell'azione scenica. Lo aprirà solo sul finale Lopachin, nuovo proprietario, con le chiavi che gli avrà lanciato Varja, scontrosa e ribelle. All'apertura l'armadio vomiterà il suo contenuto che travolgerà il nuovo proprietario.
Rosario Lisma
11 – 23 aprile 2023
GIORGIO COLANGELI | MARIANO RIGILLO
I DUE PAPI
di Anthony McCarten
traduzione Edoardo Erba
con la partecipazione di ANNA TERESA ROSSINI
e con IRA FRONTEN e ALESSANDRO GIOVA
regia GIANCARLO NICOLETTI
scene Alessandro Chiti | costumi Vincenzo Napolitano
una produzione Altra Scena & I due della città del sole
su licenza di Muse of Fire Production Ltd
in collaborazione con Festival Teatrale di Borgio Verezzi
Frustrato dalla direzione intrapresa dalla Chiesa, nel 2012 il cardinal Bergoglio chiede il permesso di ritirarsi dalla sua carica a Benedetto XVI, la cui interpretazione della dottrina è diametralmente opposta alla sua. Il Papa, in risposta, lo convoca a Roma: non accoglie le sue dimissioni, si dichiara contrario a tutte le sue idee riformiste e gli rivela che vorrebbe rinunciare al Soglio Pontificio, mentre entrambi ammirano il Giudizio Universale nella Cappella Sistina. Il soggiorno romano, inaugurato con un incontro/scontro, sarà l'occasione per la nascita di una straordinaria amicizia e per confrontare le proprie idee, tra tradizione e progresso, senso di colpa e perdono.
"I Due Papi" è il titolo della produzione italiana di "The Pope" di Anthony McCarten (pluripremiato autore per "L'ora più buia", "La teoria del tutto" e "Bohemian Rhapsody"), opera teatrale da cui è tratta la pellicola di successo prodotta da Netflix con protagonisti Anthony Hopkins e Jonathan Pryce e candidata agli Oscar, ai Golden Globe e ai Premi Bafta.
Una commedia di straordinaria forza emotiva con protagonisti due grandi attori del nostro panorama, Giorgio Colangeli e Mariano Rigillo, per raccontare il complesso rapporto tra Joseph
Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio, appena prima delle dimissioni di Benedetto XVI e della successiva elezione di Francesco nel 2013. Completano la compagnia Anna Teresa Rossini nel ruolo di Suor Brigitta, la migliore amica di Papa Ratzinger, e Ira Fronten nel ruolo di Suor Sofia. Il team creativo vede Giancarlo Nicoletti alla regia e la traduzione del testo affidata a Edoardo Erba, mentre le scene sono di Alessandro Chiti e i costumi di Vincenzo Napolitano; la produzione, in esclusiva su licenza internazionale per l'Italia, è di Altra Scena e I due della città del sole.
Humour, dramma e un duetto strepitoso tra due interpreti di razza sono gli ingredienti di un testo teatrale la cui trasposizione cinematografica è stata uno dei più grandi successi degli ultimi anni. Non fatevi ingannare dal titolo, perché I Due Papi non vuole tediare con nessuna soporifera dissertazione teologica. Raccontando le fondamenta del ponte tra conservatorismo e riformismo della chiesa cattolica, il testo vivace e incalzante, scritto dalla brillante penna di Anthony McCarten, si rivela la storia di un'amicizia del tutto particolare, incentrato sul confronto-scontro tagliente, intelligente e profondo tra Benedetto XVI e Papa Francesco. Al centro di tutto, una domanda senza tempo: nei momenti di crisi, bisogna seguire le regole o la propria coscienza?
NOTE DI REGIA
Quando ho visto per la prima volta la pellicola di Netflix sono rimasto stupito dall'efficacia e della cifra teatrale della scrittura di Anthony McCarten. Scoprire, da lì a poco, che il film era tratto da un testo teatrale dello stesso autore (sovrapponibile quasi del tutto alla sceneggiatura cinematografica), è stata una piacevole riconferma della prima impressione. La successiva lettura del testo della commedia mi stupiva nuovamente, perché la forza dell'incontro/scontro fra i due protagonisti - sullo sfondo di una vicenda storica che resterà probabilmente un unicum dei tempi contemporanei – all'interno della dimensione teatrale acquista, a mio avviso, una forza, un'urgenza e una capacità di penetrazione ancor più grande che al cinema.
Perché il cuore di questo incontro e del dialogo fra Ratzinger e Bergoglio - che sia veramente avvenuto o meno non importa - ci riguarda tutti, in quanto uomini, trascendendo dalla dimensione religiosa o spirituale, e oltre il pruriginoso interesse che sempre suscitano le questioni vaticane.
Perché I due Papi (titolo italiano scelto per l'originale The Pope) parla di due uomini e, allo stesso
tempo, parla di tutti gli uomini. Parla del potere, di come a volte sia difficile se non impossibile per un solo uomo il fardello delle responsabilità, e ci pone l'interrogativo di quanto, veramente, sia giusto o meno perseverare o se non valga la pena, a volte, scendere dalla propria croce. Parla del rapporto tra l'uomo e Dio, dell'etica, delle aporie e degli interrogativi di ogni giorno della contemporaneità che corre, lasciandoci il dubbio se sia giusto sposare i tempi o ammettere l'esistenza di un che di immutabile ed eterno, al di là dei vari credo.
Parla dell'essere umano, di quanto possiamo essere grandi e piccoli al tempo stesso, di come il dubbio e la difficoltà del vivere siano uguali a ogni latitudine e in qualsiasi posizione sociale. Credo che in questa universalità risieda il successo e l'apprezzamento trasversale, soprattutto fra i giovani, della pellicola di Netflix e, pertanto, il buono di riportare l'operazione al suo luogo di nascita: il teatro.
Uno spettacolo, quindi, che vuole poggiarsi su un testo eccezionale e di grande forza, che sa scandagliare l'animo umano restando sapientemente nel campo della commedia.
Un'operazione al servizio di due grandi interpreti italiani, provenienti da percorsi diversi, eppure perfettamente adatti a una sfida del genere; un tentativo di regia contemporanea – diretta, di lavoro sugli attori, iconica ma senza sofismi – di gusto internazionale e con un occhio al pubblico, grazie anche alla traduzione del testo di Edoardo Erba e di un impianto scenico di grande impatto realizzato da Alessandro Chiti.
Per fare di questo I due papi uno spettacolo vivo, che sappia parlare a tutti e trasportarci in una dimensione altalenante e varia – in quanto a viaggio, dialettica e sensazioni – fra i massimi sistemi del cielo e la concretezza quotidiana della terra.
Giancarlo Nicoletti
Lo spettacolo debutterà il 9/10/11 agosto 2022 al Festival di Borgio Verezzi
25 - 30 aprile 2023
NELLO MASCIA | ANDREA RENZI
LORENZO SCALZO
THE RED LION
di Patrick Marber
traduzione Marco Casazza | adattamento Andrej Longo
scene Luigi Ferrigno | costumi Anna Verde
luci Pasquale Mari | colonna sonora Marcello Cotugno
regia MARCELLO COTUGNO
coproduzione La Pirandelliana | Teatri Uniti
The Red Lion analizza con ironia e spietatezza il mondo pieno di contraddizioni e ambizioni del calcio dilettantistico, illuminato/oscurato dalla chimera delle giovani promesse di essere lanciate nel paradiso del professionismo. Intorno a un giovane talento si muovono l'allenatore e l'anziano factotum della squadra che, ignari dei problemi del ragazzo, cercano di trarre profitto dalle sue capacità.
The Red Lion non parla solo di calcio ma è anche una riflessione amara e profonda sulla lealtà e il senso di appartenenza. Il lirismo di certi passaggi contrasta con il linguaggio a tratti violento e con l'avidità e la mediocrità che aleggia nello spogliatoio dove si svolge l'intera pièce. Patrick Marber ci invita, attraverso un argomento cross-generazionale e di immediata ricezione, a riflettere sulla perdita di valori che oggi riguarda tanti altri contesti del contemporaneo.
L'ambientazione in una provincia della Campania mira a rendere più evidente l'universalità dei temi trattati e ad annullare la distanza che spesso distorce la percezione e la lettura dei testi anglosassoni. D'altra parte, Italia e Inghilterra, seppur con talune differenze, condividono una passione sfrenata per il calcio: The Red Lion è quindi un testo attuale, graffiante ma allo stesso tempo poetico, che tende a generare un forte senso di prossimità e di identificazione anche nello spettatore italiano.
La messa in scena semplice, simbolica, punterà a valorizzare le performance attoriali di
un cast d'eccezione: il giovane Lorenzo Scalzo e due dei più apprezzati talenti italiani della scena e dello schermo, Nello Mascia e Andrea Renzi, che ricompongono dopo vent'anni la coppia calcistica de L'uomo in più, il film cult d'esordio di Paolo Sorrentino. I tre interpreti daranno voce alle anime perse che, tra un calcio e l'altro, si confrontano e si scontrano nel logoro e affascinante backstage di un campetto malridotto di provincia, incarnando amaramente sogni e sconfitte di tutti noi.
Marcello Cotugno
2 – 7 maggio 2023
Gianmarco Tognazzi
Renato Marchetti | Fausto Sciarappa
e con la partecipazione in video di Bruno Armando
L'ONESTO FANTASMA
drammaturgia e regia Edoardo Erba
produzione Altra Scena
Quattro attori, che anni prima durante una tournée sono diventati grandi amici, si ritrovano
in tre, perché uno di loro muore tragicamente. Dei tre, Gallo ha nel frattempo fatto una rapida carriera ed ora è un personaggio cinematografico di successo. Gli altri due, Costa e Tito, hanno un disperato bisogno di lavorare e tentano di convincerlo a portare in scena un Amleto. Ma Gallo si rifiuta: senza l'amico – a cui voleva un bene dell'anima - lui non ha più nessuna intenzione di fare teatro. Per vincere la sua resistenza, Costa si inventa che nella produzione ci sarà anche l'amico scomparso, con tanto di nome sul manifesto: gli riserveranno la parte del fantasma. Gallo non dà peso alla proposta, la prende come uno scherzo di dubbio giusto, finché una notte il fantasma gli appare veramente. Ed è un fantasma che sembra volersi vendicare dei suoi amici, che si trovano costretti a confessare i reciproci tradimenti. Ma che rivela infine di essere l'essenza del sentimento che li lega e li legherà per la vita.
Alternando momenti realistici a scene shakesperiane, la commedia è un modo originale di
rileggere l'Amleto dal punto di vista del fantasma. Ma soprattutto è la storia di un'amicizia speciale, talmente forte da eludere anche la morte. E un atto d'amore verso il teatro, dove
ogni conflitto diventa accettabile perché riscattato dalla poesia.
NOTE DI REGIA
L'onesto fantasma è dedicato a un amico scomparso. Ma di lui non voglio parlare, non pubblicamente. L'amicizia è un sentimento che richiede pudore. Come l'amore. E certi testi si scrivono proprio per non dover parlare. L'amore brucia tutto e subito, l'amicizia cuoce a fuoco lento, talvolta lentissimo. Ma gli ingredienti sono gli stessi: i momenti felici, il senso del possesso, gli equivoci, le gelosie, gli allontanamenti, le liti e le pacificazioni, i tradimenti. Tutto più sottotraccia, più facilmente occultabile. Volevo raccontare questa complessità, che un'assenza definitiva rende viva e dolorosa. E volevo anche mettere un po' di parole di Shakespeare in un mio testo. Prendermi questo onore.
Misurare la distanza fra quei versi immortali e i miei balbettii. Ma mettendoli insieme su un foglio, anche affermare immodestamente di aver condiviso con lui lo stesso mestiere. Ho scelto l'Amleto. E' un testo che avevo letto tante volte ma ad ogni rilettura dicevo: non l'ho mai letto. Stavolta ho provato a leggerlo in Inglese e mi sono chiesto perché ho aspettato così tanti anni a farlo. In lingua originale l'Amleto mi è sembrato più musicale, più intimo.
Ma meno complesso, forse perché non capivo tutte le sfumature. In sostanza era la storia di una vendetta. Meglio, l'analisi poetica dei sentimenti di un vendicatore. Cosa che calzava perfettamente con l'idea che avevo in mente, più o meno questa: quattro attori, che lavorando avevano fatto gruppo ed erano diventati inseparabili amici, si ritrovano in tre. Per tenere in compagnia anche l'amico scomparso, decidono di mettere in scena un Amleto, riservandogli la parte del fantasma. L'Onesto fantasma dunque è un'assenza. E come tale si vendica dei tradimenti dei suoi tre amici, costringendoli a una penosa confessione.
Ma contemporaneamente rivela di essere l'essenza del sentimento che li legava e li legherà per la vita. Sui tre protagonisti di questo piccolo dramma, scende lo spirito santo. E il funerale mancato, che ha generato un lutto mancato, si consuma improvvisamente, traumaticamente, ma in un modo infine benefico. I tre scoprono nel teatro il luogo dove l'elaborazione di un conflitto diventa poesia, trova un modo per farsi accettabile e consentirci di andare avanti.
Edoardo Erba
Informazioni, orari e prezzi
INFO SALA UMBERTO
prenotazioni@salaumberto.com
promozioni@salaumberto.com
www.salaumberto.com
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