Un progetto drammaturgico nato da un’idea di Cecilia Bernabei, presidente dell’Associazione Culturale ChiPiùNeArt, drammaturga, regista, docente di lettere. “Vetustà” costituisce la prima parte di una tetralogia teatrale tutta al femminile che attraversa epoche e culture lontane, dall’antichità ai giorni nostri.
Penelope, Messalina, Rosvita di Gandersheim, Costanza D’Altavilla e Christine De Pizan sono le cinque protagoniste di questa prima parte. Il testo raccoglie cinque racconti che presentano versioni alternative e inconsuete rispetto a quelle convenzionalmente riconosciute.
La scelta di queste figure emblematiche non è casuale: tutte le donne di “Vetustà”, in modi estremamente diversi, hanno sfidato il loro tempo e la loro condizione per rompere gli schemi a cui società e cultura le avevano costrette. Le protagoniste si muovono in un “non luogo” senza spazio e senza tempo: una dimensione altra, l’unica capace di accogliere le sofferenze, le gioie, i ricordi, le speranze e le delusioni di personaggi tanto lontani, tanto distanti per cultura e formazione, dalle vicende personali e pubbliche così differenti e contraddittorie.
PENELOPE non è solo la donna che attende; è anche quella che ironizza sul suo nome (che avrebbe una presunta e non provata origine da “penelops”, un tipo di anatra) e sulla sua sorte. Penelope è la donna che resiste all’assedio fisico e psicologico dei Proci; Penelope è la donna che cede alle lusinghe di Anfinomo, per amore. Penelope è la donna che, dopo anni di paziente “governo” e di estenuante conflitto interiore, decide di non aspettare più e di tornare ad esistere per sé stessa. E proprio mentre si accinge al cambiamento, ecco ripresentarsi Ulisse, a riportare indietro il tempo e a richiedere, senza esitazione, quello che vent’anni d’assenza gli avevano negato. Così la regina d’Itaca è condotta, dalle circostanze, a dover nuovamente ricacciare indietro i sentimenti, l’affanno, i sogni e il desiderio.
Contrariamente a ciò che si può pensare, il passaggio da Penelope a MESSALINA non prevede una frattura, né un cambio di registro. Messalina entra in scena introdotta da un piccolo coro di donne che ricorda la sua fine tremenda: sposa bambina dell’imperatore Claudio (già vecchio, zoppo e balbuziente), è costretta, a causa della sua condotta morale discutibile, a morire. In realtà, dietro alla biografia poco esaltante che la storia ci ha consegnato, si celano macchinazioni, congiure e vendette di palazzo. Messalina, in quanto appartenente alla gens Iulia, fu vittima delle rivalità e delle lotte interne alla sua stessa famiglia in cui altri membri, oltre a suo figlio Britannico, potevano essere proposti come successori di Claudio. Su Messalina si abbatté la Damnatio Memoriae, una pena consistente nella cancellazione della memoria di una persona e nella distruzione di qualsiasi traccia che possa essere tramandata ai posteri. Il percorso scenico di Messalina ci svela, a poco a poco, i giochi crudeli in cui la giovane donna si trova coinvolta per mano propria o altrui; ne rivela la natura fragile e infantile. Troppo bella, troppo ricca, troppo capricciosa e, forse, troppo ingenua. Il ritratto che ne viene fuori è denso e malinconico. L’intento non è quello di riabilitare in toto il nome di Messalina; semplicemente viene sottolineato il fatto che, su una vicenda, si possono avere molteplici punti di vista, a seconda di come cambino il tempo e gli osservatori.
A stemperare i toni e a riportare un po’ d’ordine e di moralità, ci pensa ROSVITA, integerrima “statua vivente” di santa moralizzatrice. Rosvita di Gandersheim è una figura su cui si hanno, in realtà, poche notizie biografiche. Vissuta nel X secolo, di lei sappiamo che trascorse quasi tutta la vita in convento; fu una donna colta e intelligente, amante del teatro. Scrisse, «col mezzo meno lecito a quei tempi», sei drammi sul modello di Terenzio, per glorificare i santi e i martiri e lanciare messaggi di rettitudine e onestà, attraverso esempi di vite dedite al martirio e alla sofferenza. In “Vetustà”, Rosvita spezza il ritmo della narrazione e interviene a giudicare la condotta di Messalina. Le tappe più importanti del suo percorso spirituale vengono disegnate attraverso tableaux vivants che descrivono, in maniera allegorica e didascalica, la vocazione, la monacazione e il lavoro di scrittura.
A “risvegliare” pubblico e coscienze dal torpore mistico, interviene COSTANZA D'ALTAVILLA, nobile, fiera, altera e molto determinata. Non ha tempo per “interloquire” con Rosvita; né per interagire con il piccolo coro di donne: la vita l’ha portata a dover prendere decisioni importanti, a sostituirsi al consorte, il sovrano Enrico VI (prematuramente scomparso), a combattere per suo figlio.
Costanza I di Sicilia, ultima della sua stirpe, è stata regina, imperatrice e madre di Federico II di Svevia, figlia postuma di Ruggero II, re di Sicilia, e della sua terza moglie Beatrice di Rethel. Secondo una tradizione popolare, trasmessa da Giovanni Villani e poi ripresa da Dante, Costanza avrebbe manifestato in gioventù interesse per la vita monastica o addirittura sarebbe entrata in un convento e strappata alla contemplazione con violenza; tuttavia di questa presunta scelta, manca qualsiasi riscontro reale. Quello che è certo, è che Costanza, all'età di trent'anni era ancora nubile e per il suo rango di principessa la cosa poteva sembrare, al tempo, piuttosto irrituale. La nascita del figlio di Costanza era importante per la successione del Regno di Sicilia, ma fu avvolta da dicerie e illazioni. Federico fu considerato da alcuni detrattori l'Anticristo, che una leggenda medievale sosteneva sarebbe nato da una vecchia monaca: Costanza d'Altavilla, al momento del parto, aveva 40 anni e a causa dell'età avanzata, molti non credevano alla sua gravidanza. Per questo motivo sarebbe stato allestito un baldacchino al centro della piazza dove l’imperatrice partorì pubblicamente, al fine di fugare ogni dubbio sulla nascita del futuro imperatore. È proprio su queste vicende, non certe, che si basa il racconto della Costanza di “Vetustà”: incalzante, dinamico, rapido. La narrazione diventa più morbida e corale quando la donna parla del figlio e di come riesce, prima di morire, ad assicurargli la successione, senza per questo sottrarlo all’infanzia e ai giochi.
A conclusione del percorso, appare sulla scena CHRISINE DE PIZAN, femminista ante litteram. Christine, cresciuta nell’ambiente agiato e vivace della corte di Carlo V (il padre Thomas de Pizan, laureato all’Università di Bologna, prima consigliere della Repubblica e poi medico e astrologo, fu anche consigliere personale del re) si imbevve di cultura e arte e scrisse, prima per diletto, poi per vivere, dopo la morte del marito. Christine è una donna che non si abbatte di fronte alle difficoltà, che prende in mano la sua vita e si impone all’attenzione della cerchia dei nobili che frequenta, grazie ad un mestiere assolutamente impensabile a quei tempi per una donna: quello di scrittrice, per il quale veniva regolarmente retribuita. E tra i tanti lavori, Christine realizza anche la “Cité des Dames”, dettagliata descrizione di una visionaria città fortificata dove, sotto la guida di Ragione, Rettitudine e Giustizia abitano solo donne: regine, guerriere, poetesse, indovine, scienziate, martiri, sante. Christine invita anche le protagoniste del nostro racconto a far parte di questo governo illuminato, nonostante gli errori, le vicende personali, le circostanze e le storie consegnate ai posteri. Christine apre le porte della città a tutte coloro che vogliano contribuire alla realizzazione di un sogno.
Note di drammaturgia e di regia
Lungi dall’essere un ribaltamento di ciò che la storia tramanda sulle cinque donne protagoniste di “Vetustà”, questo breve lavoro, in atto unico, si pone come lente d’ingrandimento rispetto a definizioni stereotipate e sempre comode, perché sintetiche; come punto di vista interno, perché dà voce a figure che voce non hanno più. La focalizzazione, di volta in volta, sposta il proprio angolo per curiosare nella tradizione storica, nelle leggende tramandate, nell’autoapologia che ogni protagonista fa di sé. Le vicende personali assumono, quasi sempre, carattere universale. Le menzogne, gli attacchi, le critiche, le verità nascoste, le costruzioni ad arte, le persecuzioni, le divinizzazioni, le rimozioni, convivono in una narrazione che rimane strettamente legata all’immagine della donna codificata nel corso dei secoli. Prendendo spunto dalle vite di personaggi che hanno avuto un peso significativo nell’immaginario, nel mito, nella veridicità della documentazione, “Mosaico di Donna”, a dispetto della grandezza di tali figure, racconta storie di sentimenti eterni, di azioni estreme e ineluttabili, di ostacoli, vincoli, difficoltà, preoccupazioni, affanni vicini al nostro sentire, nonostante l’enorme distanza temporale. Una distanza che, in definitiva, non appare così grande. (Cecilia Bernabei)
Durata spettacolo: 60 minuti
Progetto: Ass. Culturale No Profit ChiPiùNeArt
Drammaturgia: Cecilia Bernabei
Regia: Andrea Donatiello, Cecilia Bernabei
Con: Valentina Caimmi, Francesca De Magistris, Chiara Leone, Azzurra Sottosanti
Costumi e grafiche: Francesco Teutonico
Sartoria: Rossella Pantini
Disegno luci: Alessio Damiani
Informazioni, orari e prezzi
Informazioni:
06 5755397
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